1.2 LA RELAZIONE DI RECIPROCITÀ
Con l’espressione “adattamento culturale” si intendono le risposte culturali alle sfide dell’ambiente: queste risposte consistono nella modificazione concreta dell’ambiente, attuata da ogni cultura nella scelta di strategie che servono per far fronte ai bisogni dei singoli e dei gruppi. È importante sottolineare che con l’avvento della cultura, nel lento processo di evoluzione degli ominidi, non è più l’ambiente a influenzare l’uomo, come accade per qualunque altro animale, ma è l’uomo che modifica l’ambiente affinché diventi più consono alle sue caratteristiche biologiche.
È indubbio pertanto che la cultura sia stata uno straordinario fattore di successo della nostra specie, almeno fino a questo punto della storia. Secondo la prospettiva antropologica, infatti, la cultura può essere considerata come una forma di raffinatissimo adattamento all’ambiente, che ha consentito agli esseri umani di superare, in molti modi differenti, la propria incompletezza biologica di base | vedi UNITÀ 1, p. 7 |.
Il principale fattore di debolezza degli esseri umani rispetto a tutti gli altri animali, ossia il fatto di nascere senza l’equipaggiamento biologico e istintuale necessario per vivere in una particolare nicchia ecologica, è diventato, grazie alla cultura, un elemento di grande vantaggio, tanto che l’uomo ha colonizzato il globo, riuscendo a insediarsi praticamente in tutti gli habitat naturali: pensiamo ai Sámi o agli Inuit che vivono in regioni con temperature invernali di oltre -40 °C.
Sul problema del rapporto società/ambiente si sono cimentate schiere di studiosi che nelle loro teorie hanno posto l’accento, di volta in volta, su processi essenzialmente opposti:
- i processi con cui l’ambiente influenzerebbe la società: è il caso delle scuole di pensiero di tipo “determinista”, il cui primo sostenitore è stato il geografo tedesco Friedrich Ratzel (1844-1904);
- i processi con cui l’uomo avrebbe sempre la possibilità di aggirare i vincoli naturali e modificare in suo favore l’ambiente di vita: è il caso delle scuole di pensiero di tipo “possibilista”, il cui maggiore sostenitore è stato il geografo francese Paul Vidal de la Blache (1845-1918).
Negli anni Settanta del Novecento l’antropologo americano Marshall Sahlins (1930-2021) ha criticato il determinismo ambientale, e cioè l’idea che vi sia sempre e comunque un’azione meccanica delle forze naturali su una umanità puramente ricettiva; ma ha criticato anche la posizione opposta, il possibilismo ambientale, secondo cui «le culture agiscono selettivamente, se non capricciosamente, sui loro ambienti, utilizzando certe possibilità e ignorandone altre»; in questo caso è l’ambiente a essere passivo, a rappresentare una configurazione inerte di possibilità o limiti allo sviluppo dell’uomo, le cui forze determinanti stanno nella cultura stessa e nella storia della cultura. Sahlins propone invece l’idea di reciprocità, di un dialogo costante fra le culture e i loro ambienti: «C’è uno scambio fra cultura e ambiente, forse un continuo scambio dialettico, se nell’adattarsi la cultura trasforma il suo paesaggio e quindi deve di nuovo rispondere ai mutamenti che essa stessa ha messo in moto».