Il fenomeno del ritiro sociale si sta diffondendo a macchia d’olio in tutti i paesi sviluppati e si caratterizza per il fatto che i giovani ritirati trascorrono moltissimo tempo in rete. Molti autori hanno riflettuto sul rapporto che esiste fra questa nuova forma di sofferenza e le esperienze in rete dei giovani. Nel brano che segue, Antonio Piotti spiega gli elementi che caratterizzano questo rapporto.
Il ritiro sociale in adolescenza: un fenomeno in aumento, in Il corpo in una stanza, a cura di R. Spiniello, A. Piotti, D. Comazzi, Franco Angeli, Milano 2015, pp. 26-28
È sempre più evidente come per i ragazzi ritirati in Italia e in Giappone, sia forte la presa dell’immaginario. Nelle nostre prime esperienze a riguardo, avevamo ipotizzato una connessione fra il mondo immaginario e il superinvestimento della Rete e la condizione di ritiro; col passar del tempo questa teoria, pur mantenendo un’importanza centrale, non appare più così totalizzante. In particolare osserviamo come esistano casi di ritirati sociali gravi che, semplicemente, non fanno uso del computer. Appare sempre più chiaro, invece, come la Rete funzioni rispetto al ritiro in modo difensivo […] e che essa, per i soggetti in hikikomori, costituisca una specie di rifugio dopo che è stata sperimentata l’impossibilità di affrontare il mondo reale e non, come era lecito supporre inizialmente, la causa del ritiro. Quando, tuttavia, il ritiro è cominciato e compare una dimensione immaginaria, essa finisce col creare, all’interno del soggetto, cambiamenti importanti e a strutturare in un certo modo le sue dinamiche psichiche. In altri termini, è come se i soggetti in hikikomori si trovassero di fronte a tre scelte possibili: la prima è quella di mantenere puramente e semplicemente un perfetto rifiuto verso ogni forma di contatto col mondo, la seconda consiste nell’operare uno sforzo massiccio per porre termine alla reclusione e la terza comporta l’adesione totale a una dimensione immaginaria. Le prime due soluzioni implicano, dal punto di vista economico, difficoltà notevoli in quanto occorre, in un caso sostenere lo sforzo di un isolamento le cui conseguenze potrebbero esitare nella psicosi, oppure, nell’altro, gestire l’angoscia profonda derivante da un insostenibile contatto col mondo esterno. Al contrario, la terza soluzione offre uno sbocco che, almeno nelle prime fasi, non è affatto doloroso, procura anzi un certo sollievo, e può essere adottata senza troppa fatica dai soggetti in ritiro. L’adesione a modelli immaginari, infatti, evita il contatto col mondo reale, ma consente pur sempre una forte attività relazionale sia con altri soggetti via Internet sia, in senso intrapsichico, fra le varie parti del Sé adolescenziale […]. È proprio questo aspetto, del resto, a segnare la peculiarità della disposizione psichica che stiamo analizzando: in una maniera che appare fortemente emblematica, il sintomo agisce davvero come “formazione di compromesso” e lo fa a diversi livelli: protegge dall’angoscia dismorfofobica e relazionale, ma costringe al perdurare della reclusione, favorisce una serie di relazioni immaginarie, ma elimina quelle della vita quotidiana.
In un certo senso è corretto affermare che i ragazzi in hikikomori, attraverso le loro esperienze virtuali spesso ricche e fortemente coinvolgenti, maturino emozioni e sviluppino, in chiave evolutiva, vissuti e affetti profondi, come se cercassero, attraverso una serie di strade secondarie, di percorrere comunque quel cammino evolutivo che essi non possono compiere attraverso la via principale. […] Ciò che manca è soltanto il corpo. È questo il prezzo che occorre pagare quando si percorre il proprio cammino adolescenziale sulla via dell’immaginario: si può far tutto, ma bisogna rinunciare all’uso concreto del corpo. Del resto, questa spiritualità forzata non viene vissuta come una vera e propria privazione perché il corpo, lungi dall’essere percepito come lo strumento fisico attraverso il quale dare vita al desiderio, viene invece categorizzato come l’ostacolo goffo e riluttante che impedisce al desiderio di realizzarsi. Si finisce, pertanto, col sostare in un’area intermedia. […] All’interno di essa l’immaginario permette un’esistenza meno sofferta, ma demanda a un domani sempre meno definito il giorno della fuoriuscita.