Gli umanisti non solo si fanno promotori della dignità dell’uomo faber fortunae suae (“artefice di se stesso”, “artefice del proprio destino”, frase attribuita allo storico romano Sallustio), ma si sentono anche artefici della riscoperta dei classici (latini e greci). Non che il Medioevo non conoscesse il mondo classico, ma la civiltà dell’Umanesimo-Rinascimento lo riporta a nuova vita e approccia con spirito critico i documenti del passato grazie alla filologia. La cultura classica, inoltre, non viene percepita come un archetipo lontano per pochi eruditi, ma come un modello vivo, una fonte d’ispirazione a cui guardare costantemente, proprio per attuare al meglio quella rinascita dell’uomo artefice del mondo a cui aspira tutta l’epoca. È così che gli intellettuali del tempo iniziano a parlare del millennio che li ha preceduti come di un’età di mezzo (Medio-evo) buia e oscura, che si è frapposta tra il proprio presente e il luminoso esempio dell’età antica greca e latina. Un tipo di rappresentazione, questa, che graverà a lungo sull’interpretazione del periodo medievale, mettendo in ombra gli elementi di continuità con la stessa epoca umanistico-rinascimentale.