Educazione CIVICA – Pagine di REALTÀ

I veri intellettuali perdono

COSTITUZIONE • CITTADINANZA ATTIVA

Come abbiamo visto, Guittone d’Arezzo è il primo letterato italiano a interpretare la poesia come strumento di impegno civile e di lotta politica. Ne troveremo molti altri nel corso dei secoli, sebbene la tradizione italiana veda spesso l’artista confinato nella torre d’avorio del disimpegno o costretto a un ruolo cortigiano e subalterno rispetto al potere. Ma oggi quale dovrebbe essere il ruolo dell’intellettuale? Quale la sua funzione, in una società fortemente omologata, in cui le voci dissonanti fanno fatica a emergere? In questo articolo lo scrittore Marcello Fois (n. 1960) propone una disamina disincantata e piuttosto amara: a suo giudizio, nel nostro paese gli intellettuali – salvo rarissime eccezioni – cercano solo il facile successo mediatico rinunciando alla propria missione civile.

Marcello Fois.
Marcello Fois.

L’intellettuale non può deontologicamente1 essere simpatico al potere in corso. Mi spingerei fino a dire che uno dei compiti dell’intellettuale è di rappresentarsi, in automatico, come antagonista. Come figura che non cede al ricatto della consolazione, della lamentela, del luogo comune, del consenso.
Le società che funzionano, anche a fasi alterne, sono quelle in cui questa precisa forma di antagonismo si esercita senza ricatti. È un mestiere come un altro quello dell’intellettuale, solo un po’ più articolato, perché bisogna sapere più cose senza vergognarsene, avere la tendenza a fare collegamenti senza temere di svuotare le platee, partire dalla complessità senza confonderla con la complicazione, avere il coraggio della parola astrusa o del lemma inusuale.
L’intellettuale è quello che ricorda in quanti modi si possa dire la stessa parola di cui tutti paiono accontentarsi. Sa che, per questo semplice contributo, sarà tacciato di saccenteria, ma non si lascia intimidire, accoglie su di sé il peso della povertà lessicale generalizzata e prova a dimostrare che il linguaggio ha valore anche nella scelta, direi selezione, dei termini e non solo nel tono di voce con cui si decide di esprimerli. […] Gli intellettuali non spostano un voto. Nel nostro Paese si ha una tendenza perversa a confondere la risonanza con la sostanza. Ci siamo abituati a un’idea di intellettuale pubblico come oracolo consolatorio, con la tendenza all’appiattimento, e quindi all’adeguamento, della lingua e del pensiero. Quel tipo di “intellettuale” parla a comando e quando sta zitto lo fa a ragion veduta. Il suo intento è di trovarsi nel posto giusto nel momento giusto. Quasi sempre il salotto televisivo di turno. Fa il polemico senza esserlo, è presente, lo vediamo tutti, quindi c’è. Ma si muove sempre nei limiti di una performance in cui le parti sono già scritte.
Quel tipo di “intellettuale” si rappresenta come popolare, dando a quella parola l’accezione più offensiva e umiliante. Concedendosi mani e piedi al generalizzato adeguamento verso il basso, sminuendosi per affermare la propria superiorità. Ci si rivolge al popolo, dunque si riduce la portata dei concetti, il patrimonio delle parole, al minimo, disprezzando, di fatto, l’interlocutore.

1 deontologicamente: sulla base delle norme di comportamento che dovrebbero disciplinare il proprio compito e la propria professione.

Illustrazione raffigurante due teste robotiche meccaniche che si fronteggiano, composte da ingranaggi, leve e componenti industriali. Al centro della scena, un gruppo di figure umane stilizzate è impegnato in una sorta di tiro alla fune, simbolicamente posizionato tra le bocche delle due teste.