Tuttavia, come un buon politico, un buon genitore, un buon insegnante, anche un intellettuale non dovrebbe avere nessun interesse per la popolarità, sapendo, su di sé, di svolgere un compito a rilascio lento, spesso lentissimo. Nel nostro deprimente Paese Pasolini e Bobbio2, per fare due esempi semplici, rilasciano ancora senza sosta. E servono come il pane.
L’intellettuale dovrebbe sempre tenere presente il peso, fisico e psicologico, delle affermazioni che fa. Dire cose di cui si deve rispondere significa non usare parole qualunque ma mirare con precisione e dunque avere in mente un preciso scopo. Chi spara nel mucchio, chi non si prende un po’ di tempo per mirare, chi non è in grado di selezionare i propri interlocutori non è un intellettuale. È un’altra cosa, magari anche migliore, ma non un intellettuale.
La parola stessa, intellettuale, che noi tendiamo a confinare nella lista nebulosa dei termini a libero accesso come poeta, scrittore, pittore, attore, cantautore, politico, amministratore, direttore di Salone del Libro, è invece assai poco accogliente. A differenza di quanto sostengono taluni nessuna di queste funzioni è spaziosa e capiente. Per ognuna di esse occorre attitudine, studio, fatica, coraggio. Non è affatto vero che intellettuali, attori, pittori, poeti, cantautori, politici, amministratori, direttori di Saloni del Libro, possano esserlo tutti. Si può millantare di esserlo, si può persino essere nominati, eletti, rappresentati, pubblicati, senza che questo autorizzi a definirsi tali.
Gli intellettuali hanno l’onere di spiegare che la linea del consenso, ai fini dell’incidere sul proprio tempo, è assolutamente ininfluente.
(Marcello Fois, Nel nostro deprimente Paese il vero intellettuale ha perso, “L’Espresso”, 14 marzo 2018)
2 Pasolini e Bobbio: Pier Paolo Pasolini (1922-1975), scrittore, poeta e regista, e Norberto Bobbio (1909-2004), filosofo e giurista, vengono individuati come modelli di intellettuale non disposto a scendere a patti con il potere.