Amore e animo «gentile»

All’amore come sudditanza del poeta nei confronti della donna-signora feudale, così come era concepito generalmente dai Provenzali e dai Siciliani e, in parte, dai Siculo-toscani, lo Stilnovo contrappone una concezione dell’amore come esperienza che pone in essere la virtù, la quale in un «cor gentile», cioè nobile, non manca mai, ma può rimanere a uno stato latente (come dicevano i filosofi medievali, in potenza e non in atto): l’amore, per così dire, sveglia qualcosa che prima dormiva, quindi trasforma una qualità potenziale in realtà.
Quali doti deve possedere l’uomo per vivere un sentimento con tali caratteristiche? Il presupposto fondamentale per sperimentare l’amore è il «cor gentile» (espressione utilizzata da tutti gli Stilnovisti, da Guinizzelli a Dante), cioè la nobiltà dell’animo. Tale qualità deve accompagnarsi a una cultura profonda e raffinata. Attraverso il processo di assolutizzazione dell’esperienza amorosa, amore, elevazione spirituale e poesia vengono a coincidere.

L’esperienza dell’amore è possibile solo a chi ha un cuore nobile.

Una nuova concezione della nobiltà

La questione della nobiltà della persona, dunque, ora non viene più vista come legata alla ricchezza e al prestigio della famiglia di provenienza, ma piuttosto alle qualità umane e intellettuali. Questo mostra come si stia evolvendo la dinamica sociale: sulla civiltà feudale, in cui si attribuiva una grande importanza ai natali illustri, comincia a prevalere quella borghese, che apprezza maggiormente le caratteristiche e le capacità personali.
In questo senso Al cor gentil rempaira sempre amore (vedi T13, p. 124), la canzone di Guinizzelli considerata una sorta di manifesto della nuova scuola poetica, mostra già nel suo primo verso come lo Stilnovo rappresenti essenzialmente il riflesso letterario di quella grande questione: esiste un legame indissolubile tra la nobiltà d’animo e l’esperienza dell’amore.
All’identificazione della nobiltà con la virtù personale lo Stilnovo aggiunge quella dell’amore con la virtù, da cui consegue che l’amore è un segno di nobiltà, della vera nobiltà: «Amore e ’l cor gentil sono una cosa / sì come il saggio in suo dittare pone» ribadisce Dante in un sonetto della Vita nuova.

La nobiltà non nasce dai privilegi materiali ma dalle virtù umane e intellettuali.

LA DOLCEZZA DELLO STILE

Armonia e musicalità

Cerchiamo ora di delineare i principali aspetti stilistici della produzione stilnovistica. Lo stile di queste poesie è un insieme studiatissimo di componenti lessicali, sintattiche e retoriche che riesce a raggiungere, attraverso le parole, effetti musicali. In questi componimenti, per esempio, il rapporto metrica-sintassi è piano, per lo più privo di enjambement forti e spezzature interne al verso. La “dolcezza” di cui parla Dante, per bocca di Bonagiunta, fa riferimento proprio a questa soavità stilistica che, insieme al motivo della forza conoscitiva (in senso filosofico) dell’esperienza d’amore, è l’altra grande novità dello Stilnovo.

La poesia dello Stilnovo è “dolce” perché è piana, regolare, limpida.

Un nuovo linguaggio poetico

Rispetto alle esperienze poetiche precedenti, gli Stilnovisti si allontanano dal linguaggio complesso e talvolta oscuro dei Siculo-toscani, così come dai suoni aspri, dalle rime difficili e dalle costruzioni retoriche e sintattiche troppo ardite.
Essi utilizzano come punto di partenza la lingua dei Siciliani, riuscendo però a creare un linguaggio personale, un «volgare illustre» (come dirà Dante nel De vulgari eloquentia, intendendo il fiorentino depurato dalle espressioni più basse e idiomatiche e portato a un altissimo livello letterario), cristallino e armonico. Al lessico della tradizione, rigorosamente selezionato, i poeti dello Stilnovo aggiungono termini filosofici ed espressioni più adatte a descrivere i moti d’animo dell’io lirico.

Il volgare dei poeti stilnovisti tende alla chiarezza.