Splende ’n la ’ntelligenzia del cielo
Deo criator più che ’n nostr’occhi ’l sole:
ella intende suo fattor oltra ’l cielo,
e ’l ciel volgiando, a Lui obedir tole;
45 e con’ segue, al primero,
del giusto Deo beato compimento,
così dar dovria, al vero,
la bella donna, poi che ’n gli occhi splende
del suo gentil, talento
50 che mai di lei obedir non si disprende.

41-50 Dio creatore risplende nell’intelligenza celeste più di quanto faccia il sole davanti ai nostri occhi: essa capisce (intende) il proprio creatore che sta al di là dello stesso cielo e, imprimendo il moto a quest’ultimo, inizia (tole) a ubbidire a Lui; e come da subito (al primero) si realizza (segue) da parte dell’intelligenza celeste il beato incarico affidatole dal giusto Dio, così, a dire il vero, la bella donna dovrebbe dare (dar dovria) al suo nobile amante (suo gentil), quando risplende nei suoi occhi, il desiderio (talento) di non cessare mai di ubbidirle (che mai di lei obedir non si disprende).


41-42 Splende… criator: «Guinizzelli fa qui riferimento alle tesi filosofiche cosiddette “emanatistiche”, di origine aristotelica, variamente riprese e perfezionate dai filosofi arabi Averroè e Avicenna e cristianizzate in Occidente soprattutto da Alberto Magno. Secondo queste teorie Dio agisce sul mondo sensibile servendosi di una serie di intermediari che, comprendendo i suoi desideri, li rendono effettivi. Al primo gradino di tale scala vi sono le intelligenze celesti (spesso identificate in seguito con le gerarchie angeliche del Cristianesimo), che fanno muovere i cieli in cui è suddiviso l’universo (secondo il modello tolemaico, applicato ad esempio da Dante nella Commedia, la Terra è circondata da nove cieli circolari e concentrici, ognuno dedicato a un pianeta o a un astro), provocando così la crescita delle piante, la generazione degli animali ecc.» (Berisso).
43 oltra ’l cielo: perché Dio è al di sopra (oltra) di tutti i cieli.
44 volgiando: forma settentrionale del gerundio di volgere. tole: latinismo (tollit, “prende”).

Donna, Deo mi dirà: «Che presomisti?»,
siando l’alma mia a lui davanti.
«Lo ciel passasti e ’nfin a Me venisti
e desti in vano amor Me per semblanti:
55 ch’a Me conven le laude
e a la reina del regname degno,
per cui cessa onne fraude».
Dir Li porò: «Tenne d’angel sembianza
che fosse del Tuo regno;
60 non me fu fallo, s’in lei posi amanza».

51-60 O donna, Dio mi dirà: «Quale presunzione fu la tua?», quando la mia anima sarà (siando) davanti a lui. «Sei passato al di là del cielo e sei venuto fino a Me, ma (e) hai considerato Me come termine di paragone (desti Me per semblanti) per un amore profano (vano): mentre le lodi si addicono (conven) soltanto a Me e Maria, regina del nobile regno (regname degno), grazie alla quale il male è sconfitto (per cui cessa onne fraude)». Io potrò (porò) dirgli: «Aveva l’aspetto di un angelo che appartenesse al Tuo regno; dunque non ho commesso peccato (non me fu fallo), se ho riposto in lei il mio amore (amanza)».

 


TRECCANI Le parole valgono

sembianza La vita delle parole è simile a una catena ininterrotta di passaggi da una lingua all’altra. Dall’aggettivo latino classico similis al verbo tardo-latino similare, al provenzale semblar, fino all’italiano sembrare, passando attraverso il poetico sembiare: il vocabolo sembianza sta a indicare appunto “ciò che sembra”, cioè l’aspetto, in particolare del volto, oppure – per usare un altro termine affine, per storia e significato, ma oggi meno comune – il sembiante. → Più che della parola sembianza, però, ci serviamo della forma plurale sembianze, in frasi come «non ha sembianze umane» o «una ragazza dalle bellissime sembianze». Quale significato acquista il termine in questi casi?


 
52 siando: gerundio (“essendo”).
55 conven: latinismo (convenit); singolare seppure con soggetto plurale.
56-57 reina del regname… onne fraude: è Maria, per antonomasia nemica di Satana (nell’iconografia mariana, sulla scorta dell’Apocalisse, la Madonna viene spesso raffigurata mentre calpesta un serpente, simbolo del demonio).
56 regname degno: è il Paradiso, concepito, nella cultura medievale, come un regno con la propria corte.
60 amanza: provenzalismo.

Dentro il TESTO

I temi

Amore, cuore “gentile” e vera nobiltà
L’autore afferma innanzitutto l’unità inscindibile di amore e cor gentile. Si tratta di un tema prettamente stilnovistico: Dante stesso intitolerà un sonetto, contenuto nel XX capitolo della Vita nuova, Amore e ’l cor gentil sono una cosa. L’amore, infatti, inteso alla maniera degli Stilnovisti, non è un’esperienza che tutti possono vivere: per amare bisogna essere di animo “gentile”, cioè nobile. Tuttavia, come si è accennato, gli Stilnovisti introducono un nuovo concetto di nobiltà: non più la nobiltà di sangue, di nascita, bensì quella d’animo. Nella quarta strofa viene detto chiaramente che, se non si possiede la nobiltà interiore, non ha senso rivendicare la propria nobiltà di classe (come fa l’omo alter che afferma temerariamente: «Gentil per sclatta torno», v. 33). D’altro canto, chi sia nobile spiritualmente non può sottrarsi alla forza dell’amore.

Un finale ironico e paradossale
Sull’ultima strofa i critici hanno molto discusso, soprattutto in merito all’assimilazione tra angelo e donna amata (che, qui nominata per la prima volta, è evidentemente la destinataria della canzone). L’equivalenza donna-angelo è uno dei tratti che avvicinano Guinizzelli al più tardo Stilnovo fiorentino. Tuttavia c’è chi, come Edoardo Sanguineti, ha sottolineato il carattere ironico di questa conclusione, con il poeta che si lamenta, di fronte a Dio, dell’inganno subito da parte della donna, così bella da farsi passare, appunto, per un angelo. In questo finale inaspettato si interrompe il serrato svolgimento raziocinante della poesia, attraverso una scena caratterizzata da un dialogo paradossale, con un effetto quasi umoristico.