Il Settecento – L'autore: Carlo Goldoni 3 I grandi temi Mondo e Teatro: la riforma di Goldoni Fin dagli anni della formazione, Goldoni si dimostra e incline a seguire le proprie passioni. Il precoce interesse per il teatro lo porta a leggere i (Aristofane, Plauto, Terenzio), gli (il Machiavelli della ) e , ma, accanto alle letture e allo studio, assapora anche il gusto della e del divertimento libertino. Il suo è insomma un , in cui si combinano impegno e libertà, crescita culturale ed esperienze di vita. Nello sviluppo della sua personalità, inoltre, hanno un ruolo importante i , che lo mettono a contatto con i più vari fermenti culturali. Durante i soggiorni a Milano ha modo di conoscere il , che alimenta la propensione a cogliere con spirito critico e antidogmatico le contraddizioni della società; in Toscana, la frequentazione dell’ lo educa invece a una e avversa a ogni sterile formalismo. insofferente alle costrizioni commediografi antichi autori italiani Mandragola stranieri trasgressione apprendistato “irregolare” frequenti viaggi pensiero illuminista Arcadia concezione dell’arte fondata sulla sobrietà L’esperienza come strumento di conoscenza È però l’ che suggerisce allo scrittore le idee e i valori che ispireranno il suo impegno teatrale. Qui Goldoni assorbe la mentalità della , cui egli stesso appartiene per origini familiari, e la sua cultura concreta e razionale che guarda soprattutto agli affari. Vivace centro editoriale, caratterizzato dalla circolazione di merci, di persone e quindi di idee, la città lagunare ospita inoltre , nei quali si affolla un pubblico sempre più ampio e socialmente vario. ambiente veneziano borghesia mercantile e professionale molti teatri La realtà veneziana: l’ingresso nel mondo del teatro Nel Settecento, il teatro è diventato un’ , gestita da affaristi che investono denaro affittando gli stabili, assoldando le compagnie di attori e offrendo gli spettacoli a una platea pagante. Lo scopo principale degli impresari e delle compagnie è , perché questo garantisce l’affluenza degli spettatori. La qualità della messa in scena, di conseguenza, è spesso sacrificata: si propongono soprattutto (melodrammi e commedie anziché tragedie, apprezzate di norma da spettatori culturalmente più avvertiti) e , mentre gli attori scadono spesso nella . attività imprenditoriale redditizia divertire il pubblico in modo leggero e disimpegnato generi popolari intrecci scontati e ripetitivi comicità triviale Il teatro come impresa economica Quando Goldoni entra in contatto con il mondo delle scene, il genere più in voga è la , molto diffusa fin dal Seicento, in un’epoca in cui il teatro, uscendo dagli ambienti chiusi e riservati delle corti, aveva cominciato a richiamare anche un pubblico borghese e popolare. Come si è visto, la commedia dell’arte è caratterizzata dalla presenza di un , cioè di una trama scritta nelle linee essenziali, mentre i sono affidati all’ , che impersonano caratteri stereotipati (il servo sciocco, il mercante avaro, il dottore presuntuoso), riconoscibili grazie alle che indossano. commedia dell’arte canovaccio dialoghi improvvisazione degli attori maschere La commedia dell’arte Goldoni si propone di superare questa consuetudine attraverso una che operi su due piani strettamente connessi: quello tecnico-formale e quello contenutistico. In primo luogo , scrivendo tutte le battute e attribuendo quindi un ruolo prioritario all’autore. Trasforma inoltre le maschere tradizionali in . In questo modo, egli interviene anche sul piano dei contenuti, portando il teatro ad assumere un ruolo, oltre che di intrattenimento, di . riforma del teatro abbandona lo strumento del canovaccio personaggi autentici, ispirati alla realtà quotidiana e dotati di una psicologia individuale riflessione critica su temi morali e sociali Un programma di riforma  >> pag. 299  Per spiegare la genesi della sua riforma, Goldoni ricorre a una metafora. Le sue più importanti , afferma, sono state due: «i due libri su’ quali ho più meditato, e di cui non mi pentirò mai d’essermi servito, furono il Mondo e ’l Teatro». è costituito dalle esperienze di una vita ricca di avvenimenti, viaggi e incontri con abitudini e mentalità diverse, e dall’osservazione attenta e vorace della società e di tutti i suoi ambienti (botteghe, case, piazze, porti). Il rappresenta invece la conoscenza degli artifici scenici utili a mostrare nel modo più efficace le passioni, i sentimenti, i vizi e le virtù degli esseri umani, oltre che l’insieme degli aspetti pratici della professione – le esigenze economiche degli impresari, il lavoro concreto degli attori, le attese del pubblico – appresi nella sua attività di uomo di teatro. Da queste due dimensioni deriva una riforma fondata, anziché su princìpi astratti, sull’autentica realtà del teatro, e capace quindi di abbinare tradizione e innovazione, gusto personale e richieste del mercato. fonti di ispirazione Il libro del Mondo libro del Teatro I due “libri” di riferimento  T1  «I due libri su’ quali ho più meditato»  (1750) Prefazione dell’autore alla prima raccolta delle commedie Dopo aver rievocato la passione per il teatro coltivata fin dall’infanzia come inclinazione naturale e irrefrenabile, Goldoni ricorda le condizioni in cui versava a quel tempo la commedia: «Non correvano sulle pubbliche Scene se non sconce Arlecchinate, laidi e scandalosi amoreggiamenti, e motteggi: favole mal inventate, e peggio condotte, senza costume, senza ordine, le quali, anziché correggere il vizio, come pur è primario, antico e più nobile oggetto della Commedia, lo fomentavano». Da tale constatazione nasce il desiderio di rinnovare radicalmente la commedia, sia nella forma sia nei contenuti. Osservazione della ed realtà esperienza Non mi vanterò io già d’essermi condotto a questo segno, qualunque ei si sia, di miglior senso, col mezzo di un assiduo metodico studio sull’opere o precettive, o esemplari in questo genere de’ migliori antichi e recenti scrittori e poeti o greci, o latini, o francesi, o italiani, o d’altre egualmente colte nazioni; ma dirò con ingenuità, che sebben non ho trascurata la lettura de’ più venerabili, e celebri autori, da’ quali, come da ottimi maestri non ponno trarsi, che utilissimi documenti, ed esempli, contuttociò i due libri su’ quali ho più meditato, e di cui non mi pentirò mai d’essermi servito, furono il Mondo, e ’l Teatro. Il primo mi mostra tanti, e poi tanti vari caratteri di persone, me li dipinge così al naturale, che paion fatti apposta per amministrarmi abbondantissimi argomenti di graziose, ed istruttive commedie, mi rappresenta i segni, la forza, gli effetti di tutte le umane passioni; mi provvede di avvenimenti curiosi; m’informa de’ correnti costumi, m’istruisce e de’ vizi, e de’ difetti, che son più comuni del nostro secolo, e della nostra nazione, i quali meritan o la disapprovazione, o la derisione de’ saggi; e nel tempo 1 2 3 4 5 5 6 7 8 9 10 10 11 12 di essere giunto a questo punto. esso sia. di miglior giudizio. precettistiche, cioè che contengono precetti. Si riferisce a opere teoriche che stabiliscono regole e norme artistiche. che forniscono esempi e modelli. possono. la vita reale, le esperienze concrete, le relazioni interpersonali. l’esperienza diretta dell’ambiente e del lavoro teatrale. come sono. suggerirmi. i sintomi, gli indizi. popolo. 1 d’essermi condotto… segno: 2 ei si sia: 3 di miglior senso: 4 precettive: 5 esemplari: 6 ponno: 7 Mondo: 8 Teatro: 9 al naturale: 10 amministrarmi: 11 i segni: 12 nazione:  >> pag. 300  stesso mi addita in qualche virtuosa persona i mezzi coi quali la virtù a codeste corruttele resiste, ond’io da questo libro raccolgo, rivolgendolo sempre, e meditandovi, in qualunque circostanza, od azione della vita mi trovi, quanto è assolutamente necessario che si sappia da chi vuole con qualche lode esercitare questa mia professione. Il secondo poi, il libro cioè del Teatro, mentre io lo vo maneggiando, mi fa conoscere con quali colori si debban rappresentare sulle scene i caratteri, le passioni, gli avvenimenti, che nel libro del Mondo si leggono; come si debba ombreggiarli per dar loro un maggiore rilievo, e quali sien quelle tinte, che più li rendon grati agli occhi dilicati de’ spettatori. Imparo insomma dal Teatro a distinguere ciò, ch’è più atto a far impressione sugli animi, a destar la maraviglia, od il riso, o quel tal dilettevol solletico nell’uman cuore, che nasce principalmente dal trovar nella commedia che ascoltasi effigiati al naturale, e posti con buon garbo nel loro punto di vista i difetti, e ’l ridicolo che trovasi in chi tuttogiorno si pratica, in modo però, che non urti troppo offendendo. Ho appreso pur dal Teatro, e lo apprendo tuttavia all’occasione delle mie stesse commedie il gusto particolare della nostra nazione, per cui precisamente io debbo scrivere, diverso in ben molte cose da quello dell’altre. Ho osservato alle volte riscuoter grandissimi encomi alcune cosarelle da me prima avute in niun conto, altre riportarne pochissima lode, e talvolta eziandio qualche critica, dalle quali non ordinario applauso io mi era sperato; dacché ho imparato, volendo render utili le mie commedie, a regolar talvolta il mio gusto su quello dell’universale, a cui deggio principalmente servire, senza mettermi in pena delle dicerie di alcuni o ignoranti o indiscreti, e difficili, i quali pretendono di dar la legge al gusto di tutto un popolo, di tutta una nazione, e fors’anche di tutto il mondo, e di tutti i secoli colla lor sola testa, non riflettendo, che in certe particolarità non integranti i gusti possono impunemente cambiarsi, e convien lasciarne padrone il popolo egualmente che delle mode del vestire, e de’ linguaggi. […] Ecco quanto ho io appreso da’ miei due gran libri, Mondo e Teatro. Le mie commedie sono principalmente regolate, o almeno ho creduto di regolarle, coi precetti che in essi due libri ho trovati scritti: libri per altro, che soli certamente furono studiati dagli stessi primi autori di tal genere di poesia, e che daran sempre a chiunque le vere lezioni di quest’arte. La natura è una universale e sicura maestra a chi la osserva. «Quanto si rappresenta sul teatro (scrive un illustre autore) non deve essere se non la copia di quanto accade nel mondo. La commedia, soggiunge, allora è quale esser deve quando ci pare di essere in una compagnia del vicinato, o in una familiar conversazione, allorché siamo realmente al teatro, e quando non vi si vede se non ciò che si vede tuttogiorno nel mondo. Menandro, segue a dire, 15 13 14 20 25 15 16 17 18 19 20 30 21 22 35 23 24 25 26 40 45 27 28 50 29 30 cattive inclinazioni. sfogliandolo. piacevole sollecitazione. rappresentati così come sono nella realtà. e collocati con sensibilità i difetti nella loro prospettiva. si frequenta ogni giorno. anche. durante la rappresentazione. persino, addirittura. perciò. sul gusto della maggior parte delle persone. devo. stabilire, imporre il gusto. non necessarie. gli autori antichi. si riferisce all’umanista e teologo francese René Rapin (1621-1687). anche se in realtà siamo a teatro. commediografo greco (342/341-291/290 a.C.), fu il massimo rappresentante della “commedia nuova”, che escludeva i riferimenti alla vita politica contemporanea per portare sulla scena vicende quotidiane e uomini comuni. 13 corruttele: 14 rivolgendolo: 15 dilettevol solletico: 16 effigiati al naturale: 17 e posti… difetti: 18 tuttogiorno si pratica: 19 pur: 20 all’occasione: 21 eziandio: 22 dacché: 23 su quello dell’universale: 24 deggio: 25 dar la legge al gusto: 26 non integranti: 27 primi autori: 28 un illustre autore: 29 allorché … teatro: 30 Menandro:  >> pag. 301  non è riuscito se non per questo tra i greci, ed i romani credevano di trovarsi in conversazione quando ascoltavano le commedie di Terenzio, perché non vi trovavano se non quel ch’eran soliti di trovare nelle ordinarie lor compagnie». Anche il gran Lope de Vega, per testimonianza del medesimo scrittore, non si consigliava, componendo le sue commedie con altri maestri, che col gusto de’ suoi uditori. 31 32 55 33 non ha avuto successo. commediografo latino del II sec. a.C., fu autore di opere caratterizzate dall’interesse per la psicologia dei personaggi. drammaturgo spagnolo (1562-1635), fu autore di centinaia di commedie basate sull’elemento popolare, sulla vivacità dell’azione e sulla naturalezza del linguaggio. 31 non è riuscito: 32 Terenzio: 33 Lope de Vega: Dentro il testo       I contenuti tematici Pur affermando di aver studiato i più grandi autori della letteratura (moderna e antica, italiana e straniera), Goldoni dichiara di aver tratto materia e procedimenti per l’esercizio della propria arte soprattutto dall’osservazione della realtà e dall’esperienza concreta dell’attività teatrale. Il Mondo è la realtà in cui vive, che gli fornisce personaggi e situazioni e lo informa sulle abitudini, sui vizi e sulle virtù degli esseri umani. Il Teatro – cioè la concreta esperienza teatrale – gli ha insegnato invece come rappresentare questo patrimonio di contenuti, fornendogli i mezzi più efficaci per catturare l’attenzione del pubblico e divertirlo, mostrandogli i suoi difetti senza urtarne la suscettibilità ( […] , rr. 26-28). posti con buon garbo nel loro punto di vista i difetti in modo però, che non urti troppo offendendo Mondo e Teatro Il miglior modello per un commediografo è la natura ( , rr. 46-47). Le regole astratte sono inutili: se lo scopo è divertire e, allo stesso tempo, rendere utile la rappresentazione, è più opportuno capire i gusti e la mentalità del pubblico, che si evolvono nel tempo. D’altra parte, gli stessi scrittori antichi ritenevano che la commedia dovesse ritrarre la realtà, in modo che gli spettatori riconoscessero sulla scena ciò che vedevano nella vita di ogni giorno. La natura è una universale e sicura maestra a chi la osserva La natura, maestra degli antichi e dei moderni Le scelte stilistiche Per esprimere l’esperienza diretta della realtà, dalla quale attinge la materia delle sue commedie, Goldoni usa la metafora* dei due libri (il e il ). Il richiamo alla natura, inoltre, echeggia un’altra analoga metafora utilizzata da Galileo, il quale proponeva di leggere il «libro della natura» – anziché i filosofi e la Bibbia – per raggiungere la conoscenza del mondo e delle leggi che lo regolano. La metafora attraversa il testo con l’impiego di diversi termini che evocano l’uso del libro e l’azione dello studio: l’autore parla di volumi su cui ha (r. 7) e di cui si è (r. 8); egli sfoglia ( , r. 16) il libro del Mondo e va (r. 19) quello del Teatro per mettere in scena le cose che vi (r. 21). Inoltre, per sottolineare che la propria arte si fonda sull’esperienza, Goldoni impiega numerosi termini tratti dall’ambito dell’insegnamento ( , r. 8; , r. 11; , r. 20; , r. 23; , r. 29). Mondo Teatro meditato servito rivolgendolo maneggiando si leggono mi mostra mi rappresenta mi fa conoscere Imparo Ho appreso La metafora dei libri  >> pag. 302  Verso le competenze       COMPRENDERE Riassumi ciò che l’autore afferma di avere imparato dall’esperienza del Mondo e del Teatro. Che relazione c’è tra questi due strumenti di conoscenza e quelli costituiti dai libri a stampa? 1 ANALIZZARE A quale figura retorica ricorre l’autore alla r. 38: […], […], […]? 2 popolo nazione mondo  Anafora.       A   .      B  Climax  Chiasmo.      C   Anastrofe.      D  INTERPRETARE Se dovessi scegliere una metafora alternativa a quella del libro, quale adotteresti? Perché? 3 PRODURRE La tua esperienza Goldoni afferma che i gusti del popolo cambiano come le (r. 41). Dopo aver esaminato qualche foto dei tuoi genitori o di altri parenti o conoscenti della generazione che ti ha preceduto, scattata quando avevano la tua età, osserva il loro modo di vestire e le acconciature; prova inoltre a documentarti sulle letture, i generi musicali, i passatempi, le espressioni gergali più diffuse tra i giovani a quel tempo. Scrivi poi un testo di circa 30 righe su ciò che ti pare essere rimasto costante e ciò che invece ritieni cambiato, provando a individuare le cause (economiche, sociali, culturali) di tali differenze. 4 mode del vestire, e de’ linguaggi Aristocrazia, borghesia, popolo: lo sguardo sulla società L’atteggiamento di Goldoni in relazione al mondo che osserva e rappresenta non è mai dogmatico, e le sue commedie non propongono verità assolute o valori astratti. Sebbene egli non si collochi all’interno di un preciso movimento di idee, la sua visione del mondo è influenzata dalle e, pur senza porre in discussione il tradizionale assetto sociale, egli non rinuncerà mai alle posizioni di un cauto riformismo. In un primo tempo Goldoni si propone soprattutto l’obiettivo di , guardando con simpatia alle figure del mercante e del borghese laborioso. Nella seconda fase della sua esperienza di riforma della commedia (quella che coincide con il lavoro presso il teatro San Luca, dal 1753-1754), invece, la sua opera si fa sempre più spesso , che egli vede radicarsi e dilagare. Cresce, di conseguenza, la simpatia e l’ , senza peraltro che ciò induca Goldoni ad auspicare un sovvertimento dell’ordine sociale. In realtà, egli intende soprattutto mostrare al pubblico i comportamenti che scaturiscono dalla grettezza e dall’egoismo, promuovendo, attraverso l’ironia e il riso, fondata sulla dignità, sulla giustizia e sulla ricerca del benessere individuale. Mancano invece analisi e teorizzazioni di natura psicologica o filosofica, così come è assente, nella rappresentazione del popolo, una denuncia delle difficili condizioni materiali che caratterizzano la vita dei ceti più umili. istanze illuministiche mettere in ridicolo una nobiltà retriva e parassitaria denuncia dei difetti e dei vizi della borghesia ammirazione nei confronti dei ceti popolari una nuova moralità Riformare, non sovvertire Francesco Guardi, (particolare), 1760 ca. Londra, National Gallery. Piazza San Marco, Venezia  >> pag. 303  L’esigenza di riformare la commedia dell’arte nasce anche da questo . La scelta di Goldoni di scrivere le battute dei personaggi è dettata non soltanto dal desiderio di mondare il linguaggio dalle volgarità, né solo dalla volontà di rendere più realistiche le situazioni, ma anche dall’intenzione di attribuire alle un . Il teatro, secondo Goldoni, deve sì offrire un’occasione di divertimento, ma anche costituire un’ , un veicolo di trasmissione di valori che l’autore deve rendere credibili e condivisibili, calandoli in una realtà quotidiana in cui il pubblico possa rispecchiarsi. In che cosa consistono tali valori? Si tratta di princìpi ispirati alla e al rispetto delle , auspicati mediante un atteggiamento edificante che addita la via della virtù e condanna il vizio con fermezza ma senza acrimonia: il teatro di Goldoni celebra così il , la , la , la , la , l’apertura al , la ricerca del , la dell’individuo all’interno di una comunità, mostrando quali storture siano provocate dalla mancanza di questi princìpi. intento pedagogico commedie ruolo formativo ed educativo esperienza di maturazione moderazione regole della convivenza civile lavoro famiglia lealtà solidarietà parsimonia dialogo progresso libertà I valori promossi dalla commedia riformata  T2  La sfida di Mirandolina , atto I, scene IV-VI, IX; atto II, scene XVI-XIX La locandiera Nell’ambiente della locanda, circoscritto ma aperto all’andirivieni dei clienti, entrano in relazione fra loro tutte le classi sociali, rappresentate dai singoli personaggi. La commedia si apre con un’esilarante schermaglia, costituita da frecciate e provocazioni, tra il Conte di Albafiorita e il Marchese di Forlipopoli, che vogliono guadagnarsi, ognuno con le proprie risorse, l’amore di Mirandolina. Un terzo cliente, il Cavaliere di Ripafratta (una località nei pressi di Pisa), manifesta invece la sua riprovazione per il comportamento dei due nobili, sostenendo un proprio, originale punto di vista. Il potere dell’ irresistibile astuzia femminile ATTO I SCENA IV . Amici, che cos’è questo romore? Vi è qualche dissensione fra di voi altri? Si disputava sopra un bellissimo punto. Il Conte disputa meco sul merito della nobiltà. ( ) Io non levo il merito alla nobiltà: ma sostengo, che per cavarsi dei capricci, vogliono esser denari. Il Cavaliere di Ripafratta dalla sua camera, e detti CAVALIERE 1 CONTE 2 MARCHESE ironico 5 CONTE 3 contrasto, discussione. argomento, questione. è necessario aver disponibilità di denari. 1 dissensione: 2 punto: 3 vogliono esser denari:  >> pag. 304  Veramente, Marchese mio… Orsù, parliamo d’altro. Perché siete venuti a simil contesa? Per un motivo il più ridicolo della terra. Sì, bravo! il Conte mette tutto in ridicolo. Il signor Marchese ama la nostra locandiera. Io l’amo ancor più di lui. Egli pretende corrispondenza, come un tributo alla sua nobiltà. Io la spero, come una ricompensa alle mie attenzioni. Pare a voi che la questione non sia ridicola? Bisogna sapere con quanto impegno io la proteggo. Egli la protegge, ed io spendo. ( ) In verità non si può contendere per ragione alcuna che lo meriti meno. Una donna vi altera? vi scompone? Una donna? che cosa mai mi convien sentire? Una donna? Io certamente non vi è pericolo che per le donne abbia che dir con nessuno. Non le ho mai amate, non le ho mai stimate, e ho sempre creduto che sia la donna per l’uomo una infermità insopportabile. In quanto a questo poi, Mirandolina ha un merito estraordinario. Sin qua il signor Marchese ha ragione. La nostra padroncina della locanda è veramente amabile. Quando l’amo io, potete credere che in lei vi sia qualche cosa di grande. In verità mi fate ridere. Che mai può avere di stravagante costei, che non sia comune all’altre donne? Ha un tratto nobile, che incatena. È bella, parla bene, veste con pulizia, è di un ottimo gusto. Tutte cose che non vagliono un fico. Sono tre giorni ch’io sono in questa locanda, e non mi ha fatto specie veruna. Guardatela, e forse ci troverete del buono. Eh, pazzia! L’ho veduta benissimo. È una donna come l’altre. Non è come l’altre, ha qualche cosa di più. Io che ho praticate le prime dame, non ho trovato una donna che sappia unire, come questa, la gentilezza e il decoro. Cospetto di bacco! Io son sempre stato solito trattar donne: ne conosco li difetti ed il loro debole. Pure con costei, non ostante il mio lungo corteggio e le tante spese per essa fatte, non ho potuto toccarle un dito. Arte, arte sopraffina. Poveri gonzi! Le credete, eh? A me non la farebbe. Donne? Alla larga tutte quante elle sono. Non siete mai stato innamorato? Mai, né mai lo sarò. Hanno fatto il diavolo per darmi moglie, né mai l’ho voluta. Ma siete unico della vostra casa: non volete pensare alla successione? CAVALIERE MARCHESE CAVALIERE 10 CONTE MARCHESE CONTE 4 5 15 MARCHESE CONTE al Cavaliere CAVALIERE 6 7 20 8 9 MARCHESE CONTE 25 MARCHESE 10 CAVALIERE 11 MARCHESE 12 30 CONTE CAVALIERE 13 14 CONTE CAVALIERE 35 MARCHESE 15 CONTE 16 17 40 CAVALIERE 18 CONTE CAVALIERE 19 45 MARCHESE di essere corrisposto. regali in denaro. che abbia minore importanza. vi sconvolge? abbia motivo di discutere con qualcuno. disgrazia. dal momento che. straordinario. modo di fare. non valgono nulla. non ha destato in me alcun interesse. io che ho frequentato le signore più nobili. perbacco! corteggiamento. sciocchi. hanno fatto di tutto. 4 corrispondenza: 5 attenzioni: 6 che lo meriti meno: 7 vi scompone?: 8 abbia che dir: 9 infermità: 10 Quando: 11 stravagante: 12 tratto: 13 non vagliono un fico: 14 non… veruna: 15 Io che ho praticate le prime dame: 16 Cospetto di bacco!: 17 corteggio: 18 gonzi: 19 Hanno fatto il diavolo:  >> pag. 305  Ci ho pensato più volte, ma quando considero che per aver figliuoli mi converrebbe soffrire una donna, mi passa subito la volontà. Che volete voi fare delle vostre ricchezze? Godermi quel poco che ho con i miei amici. Bravo, Cavaliere, bravo; ci goderemo. E alle donne non volete dar nulla? Niente affatto. A me non ne mangiano sicuramente. Ecco la nostra padrona. Guardatela, se non è adorabile. Oh la bella cosa! Per me stimo più di lei quattro volte un bravo cane da caccia. Se non la stimate voi, la stimo io. Ve la lascio, se fosse più bella di Venere. SCENA V . M’inchino a questi cavalieri. Chi mi domanda di lor signori? Io vi domando, ma non qui. Dove mi vuole, Eccellenza? Nella mia camera. Nella sua camera? Se ha bisogno di qualche cosa verrà il cameriere a servirla. (Che dite di quel contegno?). ( ) (Quello che voi chiamate contegno, io lo chiamerei temerità, impertinenza). ( ) Cara Mirandolina, io vi parlerò in pubblico, non vi darò l’incomodo di venire nella mia camera. Osservate questi orecchini. Vi piacciono? Belli. Sono diamanti, sapete? Oh, li conosco. Me ne intendo anch’io dei diamanti. E sono al vostro comando. (Caro amico, voi li buttate via). ( ) Perché mi vuol ella donare quegli orecchini? Veramente sarebbe un gran regalo! Ella ne ha de’ più belli al doppio. Questi sono legati alla moda. Vi prego riceverli per amor mio. (Oh che pazzo!). ( ) No, davvero, signore… Se non li prendete, mi disgustate. Non so che dire… mi preme tenermi amici gli avventori della mia locanda. Per non disgustare il signor Conte, li prenderò. (Oh che forca!). ( ) CAVALIERE 20 21 CONTE 50 CAVALIERE MARCHESE CONTE CAVALIERE 22 CONTE 55 CAVALIERE MARCHESE CAVALIERE 23 Mirandolina e detti 60 MIRANDOLINA 24 MARCHESE MIRANDOLINA MARCHESE MIRANDOLINA 65 MARCHESE al Cavaliere CAVALIERE 25 al Marchese CONTE 70 MIRANDOLINA CONTE MIRANDOLINA CONTE 26 75 CAVALIERE piano al Conte MIRANDOLINA MARCHESE 27 CONTE 28 CAVALIERE da sé 80 MIRANDOLINA CONTE 29 MIRANDOLINA CAVALIERE 30 da sé sarei costretto a sopportare. la voglia. non me ne spillano (di denaro). anche se. desidera. temerarietà. a vostra disposizione. ne possiede di doppiamente belli. Dalla battuta si evince che gli orecchini donati dal Conte sono di scarso valore. sono incastonati secondo la moda. mi offendete. che furba! Si tratta di un’espressione popolare di uso toscano. 20 mi converrebbe soffrire: 21 la volontà: 22 A me non ne mangiano: 23 se: 24 domanda: 25 temerità: 26 al vostro comando: 27 ne ha… al doppio: 28 sono legati alla moda: 29 mi disgustate: 30 che forca!:  >> pag. 306  (Che dite di quella prontezza di spirito?). ( ) (Bella prontezza! Ve li mangia, e non vi ringrazia nemmeno). ( ) Veramente, signor Conte, vi siete acquistato gran merito. Regalare una donna in pubblico, per vanità! Mirandolina, vi ho da parlare a quattr’occhi, fra voi e me: son cavaliere. (Che arsura! Non gliene cascano). ( ) Se altro non mi comandano, io me n’anderò. Ehi! padrona. La biancheria che mi avete dato, non mi gusta. Se non ne avete di meglio, mi provvederò. ( ) Signore, ve ne sarà di meglio. Sarà servita, ma mi pare che la potrebbe chiedere con un poco di gentilezza. Dove spendo il mio denaro, non ho bisogno di far complimenti. Compatitelo. Egli è nemico capitale delle donne. ( ) Eh, che non ho bisogno d’essere da lei compatito. Povere donne! che cosa le hanno fatto? Perché così crudele con noi, signor Cavaliere? Basta così. Con me non vi prendete maggior confidenza. Cambiatemi la biancheria. La manderò a prender pel servitore. Amici, vi sono schiavo. ( ) SCENA VI . Che uomo salvatico! Non ho veduto il compagno. Cara Mirandolina, tutti non conoscono il vostro merito. In verità, son cosi stomacata del suo mal procedere, che or ora lo licenzio a dirittura. Sì; e se non vuol andarsene, ditelo a me, che lo farò partire immediatamente. Fate pur uso della mia protezione. E per il denaro che aveste a perdere, io supplirò e pagherò tutto. (Sentite, mandate via anche il Marchese, che pagherò io). ( ) Grazie, signori miei, grazie. Ho tanto spirito che basta, per dire ad un forestiere ch’io non lo voglio, e circa all’utile, la mia locanda non ha mai camere in ozio. […] SCENA IX . Uh, che mai ha detto! L’eccellentissimo signor Marchese Arsura mi sposerebbe? Eppure, se mi volesse sposare, vi sarebbe una piccola difficoltà. Io CONTE al Cavaliere CAVALIERE 31 al Conte MARCHESE 32 MIRANDOLINA 33 da sé CAVALIERE 34 35 con disprezzo MIRANDOLINA CAVALIERE CONTE 36 a Mirandolina CAVALIERE MIRANDOLINA CAVALIERE 37 38 parte Il Marchese, il Conte e Mirandolina MIRANDOLINA 39 40 CONTE MIRANDOLINA 41 MARCHESE CONTE piano a Mirandolina MIRANDOLINA 42 43 Mirandolina, sola MIRANDOLINA 44 ve li sottrae. fare regali a una donna. L’uso transitivo di “regalare” è tipico del dialetto veneziano e riproduce la costruzione latina del verbo . che spilorceria! Non gliene scappano (di soldi dalle tasche). non mi piace. provvederò da solo (magari andando altrove). acerrimo. dal. vi riverisco. È una formula veneta di cortesia e di saluto (da cui deriva il vocabolo moderno “ciao”). scontroso. non ho mai conosciuto nessuno come lui. lo mando via (dalla locanda). coraggio. quanto al guadagno. Arsura è il nome ironico con cui Mirandolina ha ribattezzato il Marchese di Forlipopoli; nella scena precedente egli ha maledetto la propria mancanza di denaro, che gli impedisce di chiedere in moglie la locandiera. 31 Ve li mangia: 32 Regalare una donna: donare 33 Che arsura… cascano: 34 non mi gusta: 35 mi provvederò: 36 capitale: 37 pel: 38 vi sono schiavo: 39 salvatico: 40 Non ho veduto il compagno: 41 lo licenzio: 42 spirito: 43 circa all’utile: 44 L’eccellentissimo… mi sposerebbe?:  >> pag. 307  non lo vorrei. Mi piace l’arrosto, e del fumo non so che farne. Se avessi sposati tutti quelli che hanno detto volermi, oh, avrei pure tanti mariti! Quanti arrivano a questa locanda, tutti di me s’innamorano, tutti mi fanno i cascamorti; e tanti e tanti mi esibiscono di sposarmi a dirittura. E questo signor Cavaliere, rustico come un orso, mi tratta sì bruscamente? Questi è il primo forestiere capitato alla mia locanda, il quale non abbia avuto piacere di trattare con me. Non dico che tutti in un salto s’abbiano a innamorare: ma disprezzarmi così? è una cosa che mi muove la bile terribilmente. È nemico delle donne? Non le può vedere? Povero pazzo! Non avrà ancora trovato quella che sappia fare. Ma la troverà. La troverà. E chi sa che non l’abbia trovata? Con questi per l’appunto mi ci metto di picca. Quei che mi corrono dietro, presto presto mi annoiano. La nobiltà non fa per me. La ricchezza la stimo e non la stimo. Tutto il mio piacere consiste in vedermi servita, vagheggiata, adorata. Questa è la mia debolezza, e questa è la debolezza di quasi tutte le donne. A maritarmi non ci penso nemmeno; non ho bisogno di nessuno; vivo onestamente, e godo la mia libertà. Tratto con tutti, ma non m’innamoro mai di nessuno. Voglio burlarmi di tante caricature di amanti spasimati; e voglio usar tutta l’arte per vincere, abbattere e conquassare quei cuori barbari e duri che son nemici di noi, che siamo la miglior cosa che abbia prodotto al mondo la bella madre natura. [La locandiera ha messo in atto il suo piano di seduzione per far innamorare il Cavaliere di Ripafratta, fingendo di approvare la sua avversione per le donne, dimostrando fastidio per le lusinghe del Conte e del Marchese e assumendo un atteggiamento di complicità con l’ospite, al quale dedica attenzioni particolari (come la biancheria preziosa o gli intingoli da lei stessa cucinati esclusivamente per lui). In seguito all’arrivo alla locanda di due attrici, Ortensia e Dejanira, che si fingono nobildonne ma vengono ben presto smascherate da Mirandolina, si innesca una sorta di giocosa competizione fra le tre donne per la conquista del Cavaliere misogino. Sarà la locandiera, però, a prevalere]. ATTO II SCENA XVI . Tutti sono invaghiti di Mirandolina. Non è maraviglia, se ancor io principiava a sentirmi accendere. Ma anderò via; supererò questa incognita forza… Che vedo? Mirandolina? Che vuole da me? Ha un foglio in mano. Mi porterà il conto. Che cosa ho da fare? Convien soffrire quest’ultimo assalto. Già da qui a due ore io parto. 120 45 46 125 47 48 49 130 50 51 135 52 53 54 Il Cavaliere, solo CAVALIERE 140 55 56 57 mi propongono. sgarbato, villano. di colpo, subito (è un’espressione popolare). mi fa arrabbiare. di puntiglio (dal francese ). corteggiata. desiderata. tanti innamorati che si rendono ridicoli spasimando (per me). sconvolgere. rozzi. anch’io iniziavo a innamorarmi. sconosciuta. sopportare. 45 mi esibiscono: 46 rustico: 47 in un salto: 48 mi muove la bile: 49 di picca: pique 50 servita: 51 vagheggiata: 52 tante caricature... spasimati: 53 conquassare: 54 barbari: 55 ancor… accendere: 56 incognita: 57 soffrire:  >> pag. 308  SCENA XVII . Signore. ( ) Che c’è, Mirandolina? Perdoni. ( ) Venite avanti. Ha domandato il suo conto; l’ho servita. ( ) Date qui. Eccolo. ( ) Che avete? Piangete? Niente, signore, mi è andato del fumo negli occhi. Del fumo negli occhi? Eh! basta… quanto importa il conto? ( ) Venti paoli? In quattro giorni un trattamento sì generoso: venti paoli? Quello è il suo conto. E i due piatti particolari che mi avete dato questa mattina, non ci sono nel conto? Perdoni. Quel ch’io dono, non lo metto in conto. Me li avete voi regalati? Perdoni la libertà. Gradisca per un atto di… ( ) Ma che avete? Non so se sia il fumo, o qualche flussione di occhi. Non vorrei che aveste patito, cucinando per me quelle due preziose vivande. Se fosse per questo, lo soffrirei… volentieri… ( ) (Eh, se non vado via!). ( ) Orsù, tenete. Queste sono due doppie. Godetele per amor mio… e compatitemi… ( ) ( ) Mirandolina. Ahimè! Mirandolina. È svenuta. Che fosse innamorata di me? Ma così presto? E perché no? Non sono io innamorato di lei? Cara Mirandolina… Cara? Io cara ad una donna? Ma se è svenuta per me. Oh, come tu sei bella! Avessi qualche cosa per farla rinvenire. Io che non pratico donne, non ho spiriti, non ho ampolle. Chi è di là? Vi è nessuno? Presto?… Anderò io. Poverina! Che tu sia benedetta! ( ) Ora poi è caduto affatto. Molte sono le nostre armi, colle quali si vincono gli uomini. Ma quando sono ostinati, il colpo di riserva sicurissimo è uno svenimento. Torna, torna. ( ) ( ) Eccomi, eccomi. E non è ancor rinvenuta. Ah, certamente costei mi ama. ( ) Animo, animo. Son qui cara. Non partirò più per ora. Mirandolina con un foglio in mano, e detto 145 MIRANDOLINA mestamente CAVALIERE MIRANDOLINA stando indietro CAVALIERE MIRANDOLINA mestamente 150 CAVALIERE MIRANDOLINA si asciuga gli occhi col grembiale, nel dargli il conto CAVALIERE MIRANDOLINA CAVALIERE 58 legge 155 59 MIRANDOLINA CAVALIERE MIRANDOLINA 160 CAVALIERE MIRANDOLINA si copre, mostrando di piangere CAVALIERE MIRANDOLINA 60 165 CAVALIERE MIRANDOLINA mostra trattenersi di piangere CAVALIERE da sé 61 170 62 s’imbroglia 63 MIRANDOLINA senza parlare, cade come svenuta sopra una sedia CAVALIERE 175 64 65 66 parte, e poi ritorna MIRANDOLINA 67 180 si mette come sopra CAVALIERE torna con un vaso d’acqua la spruzza, ed ella si va movendo a quanto ammonta l’importo del conto? il paolo era una moneta pontificia, così chiamata da papa Paolo III, che nel 1540 ne fece aumentare il contenuto d’argento. infiammazione (il termine indica precisamente un eccessivo flusso di sangue in una parte del corpo). due monete d’oro (dal valore di due ducati, per questo dette doppie). perdonatemi. si confonde. frequento. essenze usate un tempo per far rinvenire chi era soggetto a svenimento. boccette per contenere essenze e liquori in piccole quantità. è completamente innamorato. 58 quanto importa il conto?: 59 paoli: 60 flussione: 61 due doppie: 62 compatitemi: 63 : s’imbroglia 64 pratico: 65 spiriti: 66 ampolle: 67 è caduto affatto:  >> pag. 309  SCENA XVIII . Ecco la spada ed il cappello. ( ) Va via. ( ) I bauli… Va via, che tu sia maledetto. Mirandolina… Va, che ti spacco la testa. ( ) E non rinviene ancora? La fronte le suda. Via, cara Mirandolina, fatevi coraggio, aprite gli occhi. Parlatemi con libertà. SCENA XIX . Cavaliere? Amico? (Oh maledetti!). ( ) Mirandolina. Oimè! ( ) Io l’ho fatta rinvenire. Mi rallegro, signor Cavaliere. Bravo quel signore, che non può vedere le donne. Che impertinenza? Siete caduto? Andate al diavolo quanti siete. ( ) Il Cavaliere è diventato pazzo. ( ) Di questo affronto voglio soddisfazione. ( ) L’impresa è fatta. Il di lui cuore è in fuoco, in fiamme, in cenere. Restami solo, per compiere la mia vittoria, che si renda pubblico il mio trionfo, a scorno degli uomini presuntuosi, e ad onore del nostro sesso. ( ) Il Servitore colla spada e cappello, e detti SERVITORE al Cavaliere CAVALIERE al Servitore, con ira SERVITORE CAVALIERE SERVITORE CAVALIERE lo minaccia col vaso; il Servitore parte Il Marchese ed il Conte, e detti MARCHESE 195 CONTE CAVALIERE va smaniando MARCHESE MIRANDOLINA s’alza MARCHESE 200 CONTE MARCHESE CAVALIERE CONTE 68 CAVALIERE getta il vaso in terra, e lo rompe verso il Conte 205 ed il Marchese, e parte furiosamente CONTE parte MARCHESE 69 parte MIRANDOLINA 70 parte ci siete cascato? un risarcimento. umiliazione. 68 Siete caduto?: 69 soddisfazione: 70 scorno: Dentro il testo       I contenuti tematici Nella locanda di Mirandolina sono ospitati tre nobili, ognuno dei quali esprime una diversa anima del ceto aristocratico messo in ridicolo da Goldoni. Il Marchese di Forlipopoli e il Conte d’Albafiorita rappresentano rispettivamente una nobiltà di sangue, irrimediabilmente decaduta per avere dilapidato le proprie risorse, e una nobiltà acquisita di recente, che fa sfoggio della ricchezza con l’esibizionismo tipico dei ; il Cavaliere di Ripafratta impersona invece un’aristocrazia ancora fiera e altera, che coltiva fino all’eccesso il proprio senso di superiorità, qui tradotto nel disprezzo per il sentimento amoroso e per l’universo femminile. parvenu Le diverse anime della nobiltà  >> pag. 310  Ogni personaggio è caratterizzato da manie e debolezze: il Marchese dall’avarizia e dall’orgoglio per i propri privilegi ( , r. 110); il Conte dalla prodigalità e dalla volgarità, che lo porta a ostentare le proprie ricchezze ( , r. 111); il Cavaliere dalla misoginia, esibita come il segno della sua posizione di forza e di dominio ( , r. 92; , r. 96). Fate pur uso della mia protezione E per il denaro che aveste a perdere, io supplirò e pagherò tutto Ehi! padrona. La biancheria che mi avete dato, non mi gusta Dove spendo il mio denaro, non ho bisogno di far complimenti Tutt’altro sociale contraddistingue il personaggio di Mirandolina. La locandiera eredita certi requisiti della servetta, vivace protagonista della commedia dell’arte, dove appariva con vari nomi (Colombina il più frequente); in particolare, Goldoni recupera dalla tradizione il piglio disinvolto e spregiudicato della maschera, ma approfondisce la sua personalità dotandola di una psicologia complessa che la rende autentica, secondo la concezione della commedia riformata. Dopo essere stata evocata dagli altri personaggi, Mirandolina si presenta agli spettatori con un lungo monologo in cui liquida la proposta di matrimonio del Marchese, troppo a secco di denaro (da cui il soprannome di che gli affibbia la donna) per essere preso in considerazione, censura l’atteggiamento del Cavaliere, (r. 123) e (r. 126), e rivela la propria attitudine a dominare gli uomini ( , rr. 130-131). Ma Mirandolina non è soltanto sfuggente e seduttiva. Da donna borghese, è anche concreta e calcolatrice ( , r. 73), scaltra ( , rr. 82-83) e abile negli affari ( , rr. 114-115). Intascando i regali degli ospiti, godendo della loro devozione e facendo mostra di non volerli offendere (per curare in realtà i propri interessi), Mirandolina tiene legati a sé i suoi corteggiatori senza concedersi e senza danneggiare la propria reputazione. status Arsura rustico come un orso nemico delle donne Tutto il mio piacere consiste in vedermi servita, vagheggiata, adorata Oh, li conosco. Me ne intendo anch’io dei diamanti mi preme tenermi amici gli avventori della mia locanda. Per non disgustare il signor Conte, li prenderò e circa all’utile, la mia locanda non ha mai camere in ozio La locandiera: donna e borghese Il Cavaliere, tuttavia, sembra sottrarsi al gioco della locandiera, con l’intenzione di non cadere nella sua rete. Sentendosi sfidata, Mirandolina ingaggia allora una battaglia per il riscatto del genere femminile: (rr. 135-137). Recependo gli ideali illuministici di emancipazione e uguaglianza, però, Goldoni non si limita a far raggiungere a Mirandolina lo scopo immediato, vincere la ritrosia e la misoginia del Cavaliere: dopo aver fatto capitolare l’uomo, infatti, la donna pretenderà una dichiarazione d’amore pubblica, perché la sua sfida non rappresenta più soltanto una questione privata, ma assume una valenza sociale e ideologica. Ha scritto il critico Roberto Alonge: «Non è l’amore che le interessa, ma la pratica sociale. Mirandolina si realizza (e si appaga) non tanto come […], bensì come , come ». e voglio usar tutta l’arte per vincere, abbattere e conquassare quei cuori barbari e duri che son nemici di noi, che siamo la miglior cosa che abbia prodotto al mondo la bella madre natura donna ruolo sociale locandiera Orgoglio di genere e di ceto Le scelte stilistiche I protagonisti interloquiscono tra loro con frasi brevi e vivaci, che coinvolgono direttamente o indirettamente tutti i personaggi. Alcune battute, rivolte a un unico personaggio, sono però pronunciate sottovoce, di nascosto, in modo che gli altri non sentano. Si crea così una complicità con gli spettatori, i quali sono più informati dei personaggi sulla scena. Ciò avviene in modo ancor più chiaro nelle battute che gli attori pronunciano tra sé e sé e nei monologhi: in quello di Mirandolina, la donna, sfogandosi, rivela al pubblico la sua indole e il piano che sta architettando. Dialoghi e monologhi  >> pag. 311  I monologhi mostrano inoltre un aspetto importante del temperamento di Mirandolina. Quando si rivolge agli ospiti, la locandiera parla in modo raffinato, con uno stile formale ed elevato, adeguato agli interlocutori ( , r. 62); nel monologo, invece, il suo linguaggio diventa spontaneo e colloquiale, con il ricorso a soprannomi di scherno ( , r. 117), a modi di dire proverbiali ( , r. 119), a similitudini* basse e colloquiali ( , r. 123) e a espressioni popolari ( , r. 126). M’inchino a questi cavalieri. Chi mi domanda di lor signori?, r. 60; Dove mi vuole, Eccellenza? Marchese Arsura Mi piace l’arrosto, e del fumo non so che farne rustico come un orso mi muove la bile L’arma sottile del linguaggio Verso le competenze       COMPRENDERE A quali mezzi si affidano il Conte e il Marchese, rispettivamente, per conquistare Mirandolina? 1 Descrivi l’atteggiamento del Cavaliere verso l’amore e il genere femminile. 2 ANALIZZARE Individua i vocaboli che caratterizzano le personalità del Conte e del Marchese, sottolineando quelli riconducibili all’ambito semantico del denaro per il primo e del potere per il secondo. 3 Commenta le scelte sintattiche che contribuiscono a rendere la concitazione del Cavaliere quando deve ammettere con sé stesso i propri sentimenti e quando deve soccorrere Mirandolina svenuta. 4 INTERPRETARE Perché, alla fine della scena XIX dell’atto II, Mirandolina dice: (rr. 208-209)? 5 Restami solo, per compiere la mia vittoria, che si renda pubblico il mio trionfo Tra italiano e dialetto Quando Goldoni inizia a scrivere per il teatro, si trova ad affrontare un nodo difficile quanto ineludibile: il . Egli mira a creare opere che raggiungano un pubblico socialmente e culturalmente vario, e siano comprensibili in buona parte d’Italia. Gli Stati italiani del tempo, tuttavia, non dispongono di una lingua davvero unitaria, se si esclude il , che ha però un carattere prevalentemente libresco, inadeguato a esprimere le mille sfaccettature della vita quotidiana. Le lingue utilizzate nella vita di tutti i giorni sono dunque i , che presentano una ricchezza e una duttilità straordinarie ma hanno potenzialità d’impiego limitate dal fattore geografico. Per risolvere questo problema, Goldoni inventa un “italiano” che si serve di strumenti linguistici di diversa provenienza, approdando a un’originale costituita da un da termini lombardi, venetismi, francesismi e forme colloquiali fiorentine. problema della lingua toscano letterario dialetti miscela plurilinguistica toscano “dialettizzato” La creazione di un nuovo “italiano” La lingua è, per Goldoni, soprattutto un mezzo di comunicazione, efficace se raggiunge un pubblico ampio. Per questa ragione, al fine di rendere chiari i discorsi dei suoi personaggi, Goldoni li fa interloquire con un , caratterizzato da una (i periodi sono sempre brevi), che privilegia la paratassi alla subordinazione; il , inoltre, è sempre coerente con l’ambiente di provenienza dei protagonisti della scena. Intendendo ritrarre con il mondo in cui gli spettatori si devono riconoscere, Goldoni mira insomma all’«imitazione delle persone che parlano più di quelle che scrivono». Rivendicando di essere un «poeta comico» e non un «accademico della Crusca», egli attinge il linguaggio direttamente dalle conversazioni che ascolta tra le persone, dai dialoghi tra uomini e donne, che riflettono le mentalità e gli orizzonti culturali delle diverse classi sociali. linguaggio non letterario sintassi semplice lessico quotidiano e familiare naturalezza e realismo Lo stile al servizio della naturalezza espressiva  >> pag. 312  Il ricorso al si spiega proprio in relazione a questo , che in alcuni casi porta Goldoni a sacrificare la fruibilità delle sue commedie da parte di un pubblico non veneziano per esaltare l’effetto realistico della lingua. Il dialetto veneziano è utilizzato sia in concomitanza con l’italiano, per caratterizzare i personaggi del popolo o le maschere più tradizionali (come Arlecchino), sia come lingua esclusiva di alcune commedie ( ). Si tratta di una scelta meditata e non caricaturale, compiuta per dare forza e credibilità all’ che la riforma goldoniana si propone. Il dialetto, infatti, esprime perfettamente la concretezza delle esperienze quotidiane, rende con immediatezza sentimenti e riflessioni, fa scaturire e dall’istintività delle reazioni. Non a caso Goldoni vi ricorre per rappresentare un’umanità popolare genuina e autentica, che egli descrive dall’interno, mettendone in luce vizi e virtù senza scadere in atteggiamenti parodistici o paternalistici. dialetto veneziano principio di verosimiglianza I rusteghi, Sior Todero brontolon, Le baruffe chiozzotte intento mimetico la comicità dalla semplicità Il dialetto come strumento realistico  T3  Todero: il vincitore sconfitto , atto III, scene XIV-ultima Sior Todero brontolon Benché ricco, Todero – un “rustego” (cioè uno zotico) brontolone e dispotico – priva il figlio, Pellegrino, e la nuora, Marcolina, di qualsiasi agio e libertà. Grazie all’iniziativa dell’amica Fortunata, Marcolina trova per la figlia Zanetta un buon partito, Meneghetto: ricco, rispettoso, di modi eleganti, parente della stessa Fortunata. I due giovani si piacciono, ma Todero ha già stabilito di far unire in matrimonio Zanetta con il modesto Nicoletto, figlio del suo fattore, Desiderio, così da tutelare i propri interessi e risparmiare sulla dote. Marcolina si oppone al progetto, ma non può contare sull’aiuto del marito, debole di carattere e succube del padre. Così, con la complicità di Zanetta combina il matrimonio tra la propria servetta e Nicoletto; poi, grazie all’onestà di Meneghetto, che si dichiara disposto a rinunciare alla dote (almeno finché vive Todero), riesce a far sposare i due giovani. Riportiamo le ultime tre scene della commedia, in cui compaiono tutti i personaggi per lo scioglimento finale, in un vivace e incalzante scambio di battute. Come di un vecchio burlarsi avaro SCENA XIV . E mi? Cossa ha da esser de mi? E vu tornerè a Bergamo a arar i campi. Oh! sior patron, la sa con quanta attenzion, con quanta fedeltà l’ho servia. La servirò ancora per gnente, senza salario, per gnente. Me servirè per gnente? ( ) Sior sì, ghe lo prometto. Sior sì, sior sì, el ve servirà per gnente. Ma de aria no se vive. El ve servirà per gnente, e el se pagherà da so posta. ( ) Cossa gh’ìntrela ela? Me vorla veder precipità? Todero, Marcolina, Fortunata, Meneghetto e Desiderio DESIDERIO TODERO DESIDERIO 5 TODERO con più dolcezza DESIDERIO FORTUNATA a Todero, forte 10 DESIDERIO  >> pag. 313  Tasè là. (a Desiderio) Son poveromo; mi no posso pagar un fattor. ( ) Caro sior missier, no gh’avè vostro fio? Nol xe bon da gnente. ( ) Sior Meneghetto lo assisterà. ( ) Cossa gh’ìntrelo elo in ti fatti mii? ( ) El gh’intreria, sel volesse. ( ) Intèndelo, sior missier? ( ) Coss’è, coss’è stà? Cossa voleu che intenda? Che zente seu? No savè gnanca parlar. Parlè vu, sior zerman. ( ) Sior Todero, la vede che quella scrittura sì fatta xe revocada dal fatto. Ben; e cussì? Se la se degna de accordarme so siora nezza… Via; gh’è altro? Son pronto a darghe la man. E no disè altro più de cussì? La comandi. No m’aveu ditto che la torrè senza dota? Sior sì, senza dota. Mo vedeu? No savè parlar. Sior sì, son galantomo: quel che ho promesso, mantegno: ve la darò. Bravo, sior missier, son contenta anca mi. No ghe xe bisogno che siè contenta, o che no siè contenta; co son contento mi, basta. (Mo el xe ben un omazzo!). E vu, sior, cossa feu qua? ( ) Stago a veder sta bella scena: vedo tutto, capisso tutto. Che i se comoda, che i se sodisfa; ma mi non anderò via de qua. Ho servio, semo parenti. Faremo lite. Avanti de far lite, che sior Desiderio renda conto della so amministrazion. El diavolo che ve porta. Vago via per no precipitar. ( ) SCENA XV . Credeu che el m’abbia robà? Anemo, anemo: ve sè liberà, no ghe pensè più. La vegna, la vegna, siora Zanetta. ( ) Cossa comàndela? (Ala savesto?). ( ) (Ho sentìo tutto). ( ) Finalmente, siora Zanetta, spero che el cielo seconderà le mie brame e me concederà l’onor de conseguirla per mia consorte. Sior sì… la fortuna… per consolarme… El compatissa, che no so cossa dir. Via, deve la man. Tasè là, siora: tocca a mi a dirghelo. ( ) TODERO a Fortunata MARCOLINA TODERO a Marcolina 15 FORTUNATA a Todero TODERO a Fortunata FORTUNATA a Todero, dolcemente MARCOLINA a Todero, dolcemente TODERO 20 FORTUNATA a Meneghetto MENEGHETTO TODERO MENEGHETTO 25 TODERO MENEGHETTO TODERO MENEGHETTO TODERO 30 MENEGHETTO TODERO MARCOLINA TODERO 35 MARCOLINA TODERO a Desiderio DESIDERIO 40 MENEGHETTO DESIDERIO parte Todero, Marcolina, Fortunata, Meneghetto, poi Zanetta 45 TODERO FORTUNATA alla porta ZANETTA FORTUNATA a Zanetta 50 ZANETTA a Fortunata, con allegria MENEGHETTO ZANETTA MARCOLINA 55 TODERO a Marcolina  >> pag. 314  (Oh poveretta mi!). Sposeve. ( ) Questa xe mia muggier. Questo xe mio mario. ( ) Brava, brava. La l’ha ditto pulito. SCENA ULTIMA . Coss’è? Cossa xe stà? Ghe xe strepiti, ghe xe sussuri? Me maraveggio; son qua mi; son paron anca mi. ( ) Martuffo! Saveu che strepiti, saveu che sussuri che ghe xe? Che vostra fia xe novizza. Con chi? Co sior Meneghetto. No ve l’oggio ditto, che sarave andà tutto ben? Sior sì, xe andà tutto ben; ma no per vu, no per la vostra direzion. Muè sistema, sior Pellegrin; za che sior missier ha mandà via de casa sior Desiderio, preghelo che el ve fazza operar, che el ve prova, che el se prevala de vu. In quel che no savè, sior Meneghetto ve assisterà. Mi pregherò sior missier de compatirme, de averme un poco de carità, de non esser con mi cussì aspro, de non esser in casa cussì suttilo. Ringraziemo el cielo de tutto, e ringraziemo de cuor chi n’ha sofferto con tanta bontà; pregandoli, che avendo osservà che brutto carattere che xe l’indiscreto, che xe el brontolon, no i voggia esser contra de mi né indiscreti, né brontoloni. ZANETTA TODERO a Zanetta e Meneghetto MENEGHETTO ZANETTA forte con spirito, e presto 60 FORTUNATA Pellegrino e detti PELLEGRINO in aria di voler far il bravo TODERO 65 MARCOLINA PELLEGRINO MARCOLINA PELLEGRINO MARCOLINA 70 75 TRADUZIONE ATTO III SCENA XIV . E di me? Che cosa ne sarà di me? E voi tornerete a Bergamo ad arare i campi. Oh! signor padrone, sa con quanta cura, con quanta fedeltà l’ho servita. La servirò ancora per niente, senza salario, per niente. Mi servirete per niente? ( ) Signor sì, glielo prometto. Signor sì, signor sì, vi servirà per niente. Ma di aria non si vive. Vi servirà per niente, e si pagherà da solo. ( ) Che cosa c’entra lei? Mi vuole vedere andare in rovina? Taci. ( ) Sono un poveruomo; non posso pagare un fattore. ( ) Caro signor suocero, non avete vostro figlio? È un buono a nulla. ( ) Todero, Marcolina, Fortunata, Meneghetto e Desiderio DESIDERIO TODERO DESIDERIO TODERO con più dolcezza DESIDERIO FORTUNATA 1 a Todero, forte DESIDERIO TODERO a Desiderio 2 a Fortunata MARCOLINA TODERO a Marcolina cioè imbrogliando sui conti. Todero sperava di ottenere gratuitamente le prestazioni di Nicoletto in virtù del suo matrimonio con Zanetta. 1 si pagherà da solo: 2 Sono… fattore:  >> pag. 315  Il signor Meneghetto lo assisterà. ( ) Che cosa c’entra lui nei fatti miei? ( ) C’entrerebbe se voi voleste. ( ) Capite, signor suocero? ( ) Cos’è, cos’è questa cosa? Cosa volete che capisca? Che gente siete? Non sapete neanche parlare. Parlate voi, signor cugino. ( ) Signor Todero, vede che quel contratto è stato sciolto da ciò che è successo. Bene; e perciò? Se si degna di concedermi la sua signora nipote… Via; c’è altro? Sono pronto a darle la mano. E non dite altro più di così? Comandi. Non mi avevate detto che la prendete senza dote? Signor sì, senza dote. Dunque vedete? Non sapete parlare. Signor sì, son galantuomo: quello che ho promesso, mantengo: ve la darò. Bravo, signor suocero, sono contenta anch’io. Non c’è bisogno che tu sia contenta, o che non sia contenta; quando sono contento io, basta. (Ma costui è davvero un grand’uomo!). E voi, signore, che cosa fate qua? ( ) Sto a vedere questa bella scena: vedo tutto, capisco tutto. Che facciano quel che vogliono, quel che a loro pare; ma io non andrò via di qua. Ho servito, siamo parenti. Andremo in tribunale. Prima di ricorrere al tribunale, che il signor Desiderio renda conto della sua amministrazione. Che il diavolo vi porti. Vado via per non andare in rovina. ( ) SCENA XV . Credete che mi abbia derubato? Andiamo, andiamo: vi siete liberato, non ci pensate più. Venga, venga, signora Zanetta. ( ) Che cosa comanda? (Lo ha saputo?). ( ) (Ho sentito tutto). ( ) FORTUNATA a Todero TODERO a Fortunata FORTUNATA a Todero, dolcemente MARCOLINA a Todero, dolcemente TODERO 3 FORTUNATA a Meneghetto MENEGHETTO 4 TODERO MENEGHETTO TODERO MENEGHETTO TODERO MENEGHETTO TODERO MENEGHETTO TODERO 5 MARCOLINA TODERO MARCOLINA 6 TODERO a Desiderio DESIDERIO MENEGHETTO DESIDERIO 7 parte Todero, Marcolina, Fortunata, Meneghetto, poi Zanetta TODERO FORTUNATA alla porta ZANETTA FORTUNATA a Zanetta ZANETTA a Fortunata, con allegria perché non parlano della cosa più importante, cioè che Meneghetto rinuncia alla dote. Meneghetto si riferisce alla promessa di matrimonio tra Nicoletto, figlio di Desiderio, e Zanetta, nipote di Todero, promessa ormai superata dal matrimonio tra Nicoletto e Cecilia, la cameriera di Marcolina. Todero si dice “galantuomo” ma mantiene la promessa solo perché risparmia la dote. l’espressione esprime l’ammirazione verso la generosità di una persona; in questo caso, rivolta (con l’enfasi resa dal punto esclamativo) da Marcolina a Todero, che ha appena dimostrato il proprio irriducibile e gretto egoismo, assume un valore ironico: significa infatti l’esatto contrario di ciò che afferma. è chiaro, a questo punto, che Desiderio imbrogliava Todero. 3 Non sapete neanche parlare: 4 contratto: 5 Signor sì… ve la darò: 6 Ma costui… grand’uomo!: grand’uomo 7 Che il diavolo… rovina:  >> pag. 316  Finalmente, signora Zanetta, spero che il cielo asseconderà i miei desideri e mi concederà l’onore di averla come mia consorte. Signor sì… la fortuna… per consolarmi… Cerchi di capire, che non so che cosa dire. Via, datevi la mano. Tacete, signora: tocca a me a dirglielo. ( ) (Oh poveretta me!). Sposatevi. ( ) Questa è mia moglie. Questo è mio marito. ( ) Brava, brava. L’ha detto ben chiaro. SCENA ULTIMA . Cosa c’è? Cos’è questa faccenda? Si fanno strepiti, si sussurra? Mi meraviglio; sono qua io; sono padrone anch’io. ( ) Sciocco! Volete sapere che strepiti, che sussurri, che cosa c’è? Che vostra figlia è sposa. Con chi? Con il signor Meneghetto. Non ve l’avevo detto, che sarebbe andato tutto bene? Signor sì, è andato tutto bene; ma non per voi, non per la vostra iniziativa. Cambiate sistema, signor Pellegrino; giacché il signor suocero ha mandato via di casa il signor Desiderio, pregatelo che vi faccia agire, che vi metta alla prova, che si avvalga di voi. In quel che non sapete, il signor Meneghetto vi assisterà. Io pregherò il signor suocero di scusarmi, di concedermi un poco di carità, di non esser con me così aspro, di non esser in casa così suscettibile. Ringraziamo il cielo di tutto, e ringraziamo di cuore chi ci ha sopportato con tanta bontà; pregandoli che, avendo osservato che brutto carattere è l’indiscreto, è il brontolone, non voglia che ci siano contro di me né indiscreti, né brontoloni. MENEGHETTO ZANETTA MARCOLINA TODERO a Marcolina ZANETTA TODERO a Zanetta e Meneghetto MENEGHETTO ZANETTA forte con spirito, e presto FORTUNATA Pellegrino e detti PELLEGRINO con l’aria di voler fare il bravaccio TODERO MARCOLINA PELLEGRINO MARCOLINA PELLEGRINO MARCOLINA 8 gli spettatori. 8 chi: Dentro il testo       I contenuti tematici «Non vi è niente di più fastidioso, di più molesto alla Società, di un uomo che brontola sempre; cioè che trova a dire su tutto, che non è mai contento di niente, che tratta con asprezza, che parla con arroganza e si fa odiare da tutti. in questa commedia non è solamente, ma avaro e superbo […]. Tutta la morale di questa Commedia consiste nell’esposizione di un carattere odioso, affinché se ne correggano quelli che si trovano, per loro disgrazia, da questa malattia attaccati»: così spiega Goldoni nell’introduzione ( ) che, nell’edizione a stampa, precede la commedia. Tutti i difetti di Todero contribuiscono in effetti a renderlo ridicolo e odioso agli occhi degli spettatori. In queste scene finali, pur dovendo accettare il fatto compiuto (l’impossibilità di far sposare la nipote Zanetta con Nicoletto), egli cerca ancora di imporsi come vincitore ( , r. 55), mettendo così in evidenza il contrasto tra la sua meschinità ( , rr. 34-35), che fino all’ultimo non gli permette di avere altri interessi se non il proprio guadagno ( , r. 29), e la dignità e nobiltà d’animo del giovane Meneghetto, il quale dimostra disinteresse per il denaro ( , r. 30). Todero brontolon L’autore a chi legge Tasè là, siora: tocca a mi a dirghelo co son contento mi, basta No m’aveu ditto che la torrè senza dota? Sior sì, senza dota Correggere i costumi con l’ironia  >> pag. 317  Accanto alla satira dei comportamenti umani, l’opera contiene anche una dimensione di denuncia sociale. Todero è un vecchio e ricco mercante, dunque un rappresentante di quella borghesia veneziana cui Goldoni aveva attribuito, nelle commedie della prima fase, un ruolo preminente nella società, e che ora dipinge con i vizi e le ottusità tipiche della nobiltà. Egli non è soltanto burbero e scostante, ma anche incapace di condurre i propri affari in modo conveniente. Alla fine della vicenda, è proprio Meneghetto a liberare il vecchio Todero dall’amministratore Desiderio, che si rivela profittatore e truffatore ( , rr. 41-42). Si viene così a scoprire come il vecchio despota, che allo scopo di rimanere l’unico padrone della sua attività non aveva mai concesso considerazione e stima al figlio, si sia in realtà lasciato truffare proprio da colui che aveva scelto come collaboratore. Il confronto tra i due personaggi, Todero e Meneghetto, fa emergere dunque, su un piano sociale, l’involuzione di una classe mercantile avida e cinica, che ha dimenticato i valori positivi della bontà, della lealtà e della sincerità. Avanti de far lite, che sior Desiderio renda conto della so amministrazion Un borghese ottuso Jean-Baptiste Greuze, , 1761. Parigi, Museo del Louvre. Contratto nuziale  >> pag. 318  Pellegrino, il figlio di Todero, conferma anche nell’ultima scena l’incapacità di opporsi al padre o di assumersi responsabilità; al contrario, Marcolina e Fortunata – grazie alle quali si è concluso il matrimonio – sono intraprendenti e determinate. La ribellione di Marcolina, però, è tutta privata: si è opposta al suocero e ha sottratto la figlia a un destino di tristezze e frustrazioni, ma sa di averlo fatto per conto del marito, di cui non contesta il ruolo. Alla fine della commedia, infatti, esorta Pellegrino a prendere parte attiva negli affari del padre e si propone di chiedere comprensione e benevolenza al suocero, dimostrando di adeguarsi alle gerarchie che governano la famiglia e la società borghese, dove il matrimonio è contrattato dai parenti affinché sia conveniente alle parti in gioco. Ancora una volta, quindi, Goldoni mostra di stimare l’intelligenza femminile alla pari di quella maschile – condividendo la posizione degli Illuministi –, ma senza mettere in discussione l’assetto sociale consolidato dalla tradizione. Le donne: il motore della storia Le scelte stilistiche L’avidità e la mancanza di sensibilità di Todero sono messe alla berlina soprattutto attraverso i dialoghi. Rispondendo a Meneghetto con domande incalzanti, e solo apparentemente ingenue ( , r. 23; , r. 25; , r. 27), il vecchio brontolone spinge il giovane a confermare la propria rinuncia alla dote, prima di concedere la mano della nipote ( , rr. 31-32), presentandosi sfacciatamente come uomo leale, attraverso l’uso del termine (r. 31) e dei verbi (r. 31) e (r. 32), quando il suo comportamento è ispirato soltanto alla difesa del proprio interesse. Ben; e cussì? Via; gh’è altro? E no disè altro più de cussì? Sior sì, son galantomo: quel che ho promesso, mantegno: ve la darò galantomo promesso mantegno Lo strumento del dialogo Il dialetto è utilizzato nei registri più adatti alla caratterizzazione dei personaggi: più studiato e formale quello di Meneghetto ( , r. 22), più colloquiale quello di Desiderio ( , r. 43). La sua efficacia non è solo realistica, ma anche comica, costituendo una riserva di espressioni spontanee che danno colore e vivacità ai dialoghi con immagini iperboliche dal significato ironico ( , r. 36), termini popolari ( , r. 64) ed esortazioni che rendono bene la concretezza della quotidianità ( , rr. 46-47). Sior Todero, la vede che quella scrittura sì fatta xe revocada dal fatto El diavolo che ve porta. Vago via per no precipitar Mo el xe ben un omazzo! Martuffo! Anemo, anemo: ve sè liberà, no ghe pensè più. La vegna, la vegna, siora Zanetta Il colore del dialetto Verso le competenze       COMPRENDERE Riassumi in circa 10 righe il contenuto del brano. 1 Come appare, nelle scene qui antologizzate, il rapporto fra Todero e il figlio Pellegrino? 2 ANALIZZARE Spiega quali scelte stilistiche conferiscono un significato ironico alla seguente battuta di Fortunata: […] (rr. 8-9). 3 Sior sì, sior sì el se pagherà da so posta INTERPRETARE Cerca nel testo il passaggio in cui Meneghetto viene presentato a Todero e spiega in che cosa consista l’astuzia di Fortunata nel convincere il vecchio mercante a concedergli la mano di Zanetta. 4 PRODURRE Il dialetto è oggi tornato a svolgere una funzione espressiva importante: esistono serie televisive recitate in dialetto ( , per esempio, in napoletano) e cantanti e gruppi musicali (Davide Van de Sfroos, 99 Posse e altri) che ne fanno un uso artistico. Svolgi una ricerca sull’argomento e illustrane i risultati in un testo espositivo di circa 40 righe. 5 Gomorra La tua esperienza Conosci un dialetto? Prova a tradurre una scena a tua scelta, fra quelle proposte, nel dialetto che conosci. Se non conosci nessun dialetto, puoi utilizzare un’altra lingua o un linguaggio gergale che ti è familiare. 6  >> pag. 319  I grandi temi di Goldoni Mondo e Teatro: la riforma di Goldoni • il superamento della commedia dell’arte, percepita come ripetitiva, stereotipata e volgare • l’abbandono del canovaccio in favore della scrittura di tutte le battute; la trasformazione delle maschere tradizionali in personaggi verosimili • il teatro come occasione, oltre che di intrattenimento, di riflessione critica su temi morali e sociali • le fonti di ispirazione della riforma: non i trattati teorici, ma il Mondo e il Teatro, cioè l’esperienza della vita e l’attività teatrale Aristocrazia, borghesia, popolo: lo sguardo sulla società • la satira della nobiltà retriva e parassitaria • l’esaltazione dell’intraprendenza borghese in una prima fase; la denuncia dei vizi che la borghesia condivide con la nobiltà in una seconda fase • la simpatia nei confronti dei ceti popolari, pur senza idee di sovvertimento dell’ordine sociale Tra italiano e dialetto • il problema della lingua: uso di un toscano arricchito di termini lombardi, venetismi, francesismi e forme colloquiali fiorentine per raggiungere un pubblico più ampio • uno stile semplice (linguaggio non letterario, paratassi, lessico quotidiano) per una comunicazione più efficace • l’uso del dialetto veneziano per una resa verosimile della realtà quotidiana