L’opera La bottega del caffè  Il lavoro e il denaro T6  La malalingua di Don Marzio T7  La dignità di una moglie caparbia T8  La lezione morale di Ridolfo T9  La tragicomica resa dei conti T10  L’esilio di Don Marzio T11 è una delle sedici commedie composte da Goldoni nel 1750 per arricchire il calendario degli spettacoli del teatro Sant’Angelo. La necessità di assicurare la fedeltà del pubblico spiega la persistenza, in quest’opera, della tradizione scenica della commedia dell’arte, alla quale gli spettatori veneziani erano ancora affezionati; tuttavia, lo sguardo acuto di Goldoni, che ritrae le virtù e i difetti degli esseri umani nelle loro più minute e spontanee manifestazioni, la chiarezza con cui l’autore trasmette il proprio messaggio morale e la vivacità delle scene, da cui scaturisce una comicità immediata e al tempo stesso raffinata, fanno rientrare a pieno titolo nel novero delle commedie riformate. La bottega del caffè La bottega del caffè Una commedia d’ambiente La genesi dell’opera Fra gli scritti per il tea­tro San Samuele nel 1736 ne figura uno, in veneziano, che viene replicato ripetutamente anche anni dopo: il suo protagonista è Narciso, un caffettiere (cioè il gestore di una bottega in cui si vende e si consuma caffè) che, insieme alla scaltra Dorilla, approfitta della dabbenaggine del prodigo Zanetto per truffarlo. Il successo del soggetto è tale che Goldoni, nel 1750, decide di utilizzarne alcuni elementi per comporre una . intermezzi in musica commedia articolata in tre atti Dall’intermezzo alla commedia Nel , quando viene portata sulle scene, prima a Mantova, poi a Milano e infine a Venezia, la commedia ha come personaggi principali e il suo immancabile compare, il garzone , entrambi , che Goldoni fa parlare in veneziano. Il pubblico risponde con grande entusiasmo, tanto che a Venezia lo spettacolo viene replicato ben dodici volte. 1750 Brighella Arlecchino maschere della commedia dell’arte Nel , però, in occasione della versione a stampa, Goldoni modifica la fisionomia dei personaggi, trasformandoli in e di una propria,  1753 individui dotati di caratteri specifici peculiare personalità: Brighella diventa   Ridolfo , Arlecchino viene ribattezzato   Trappola . Inoltre, volendo rendere l’opera «universale» (come spiega egli stesso nella premessa dell’edizione a stampa,   L’autore a chi legge ), l’autore tratteggia vizi e virtù dei protagonisti non più mediante il dialetto, ma attraverso   un italiano modellato sul toscano , comprensibile anche a un pubblico non veneziano. Dalla rappresentazione all’edizione a stampa  >> pagina 423  L’ambientazione Il luogo prescelto da Goldoni per ambientare la commedia è uno dei simboli della civiltà settecentesca. La bottega del caffè è un luogo molto frequentato non solo dagli , che lo eleggono a punto di incontro e di riunione in cui far circolare idee, scambiare opinioni, instaurare relazioni (non a caso il periodico milanese più rappresentativo dell’Illuminismo lombardo si chiamerà, di lì a qualche anno, “Il Caffè”), ma anche da , accomunati dalla passione per la bevanda. Potendoselo concedere anche i meno abbienti, il caffè è un («È veramente una cosa che fa crepar di ridere, vedere anche i facchini venir a bevere il loro caffè», dice Trappola), un segno del mondo che cambia: una «moda», come la definisce Ridolfo, un emblema dello spirito e del gusto del tempo («Tutti cercan di fare quello che fanno gli altri. Una volta correva l’acquavite, adesso è in voga il caffè», sentenzia ancora Ridolfo). intellettuali illuministi individui di tutti gli altri ceti sociali e di vario retroterra culturale piccolo lusso che rende tutti uguali Il caffè come simbolo di un’epoca Proprio per questa sua prerogativa di attrarre le persone più diverse – esattamente come, a ben vedere, fa il teatro con il pubblico –, la viene scelta dall’autore non solo quale , ma anche come vera : non a caso il titolo rimanda, anziché a un personaggio, a uno spazio scenico (fatto raro nel tea­tro goldoniano, che si ripeterà con , nel 1756, e in pochi altri casi), che funge da microcosmo catalizzatore delle esperienze quotidiane delle persone che lo frequentano. bottega del caffè centro dell’azione protagonista della commedia Il campiello Accogliendo avventori di tutti i tipi, la sulla quale si affaccia il locale è un vero e proprio organismo in cui ogni singolo elemento contribuisce a una resa d’insieme: Goldoni ritrae questo spazio con lo sguardo «del poeta che guarda diritto alla realtà e sa introdursi senz’altro in un ambiente, cogliendone i piccoli particolari caratteristici» (Momigliano). Il luogo favorisce relazioni, offre occasioni d’incontro, esprime i caratteri nella loro varietà e originalità: la bottega rappresenta un . piazzetta veneziana punto di vista privilegiato su un’umanità multiforme e piena di contraddizioni Un punto d’osservazione privilegiato La trama Sulla piazzetta veneziana in cui si svolge la commedia si affacciano, oltre alla bottega del caffè, quella di un parrucchiere, a destra, e una bisca, a sinistra. è l’ , in cui lavora, come garzone, , servitore furbo e opportunista che, con gran disinvoltura, tratta con i clienti, divertendosi alle loro spalle. Ridolfo onesto e virtuoso gestore della caffetteria Trappola Ridolfo ha preso a cuore le sorti di , un giovane mercante di stoffe figlio del suo precedente datore di lavoro, che rischia la rovina a causa delle continue . A dispetto dei buoni insegnamenti di Ridolfo, però, Eugenio non riesce a liberarsi dalle grinfie di due truffatori che approfittano della sua debolezza di carattere: il finto conte , che si chiama in realtà (sposato con Placida, egli ha lasciato il proprio lavoro di scrivano per arricchirsi nella bisca e, fingendosi nobile, è divenuto amante della ballerina ), e , il padrone della bisca. Eugenio perdite al gioco Leandro Flaminio Lisaura Pandolfo Nel frattempo, nella piazza circolano i pettegolezzi diffusi da , un di origini napoletane, anch’egli avventore della bottega. Vero artista della maldicenza, egli accusa in particolare la ballerina Lisaura, che Leandro ha promesso di sposare, di ricevere uomini in casa, di nascosto. Compaiono inoltre sulla scena, alla ricerca dei rispettivi mariti, (termine con cui nel Settecento si definivano le donne viaggiatrici e avventuriere, considerate di dubbia moralità), e la moglie di Eugenio, , per non farsi riconoscere, che minaccia di abbandonarlo se egli non si ravvederà. Don Marzio nobile decaduto Placida, travestita da pellegrina Vittoria mascherata Il primo atto  >> pagina 424 Facendogli concludere un buon affare con la vendita di alcune stoffe, Ridolfo permette a Eugenio di saldare i debiti e di riscattare gli orecchini della moglie, precedentemente dati in pegno a Don Marzio a garanzia di un prestito di dieci zecchini. Il giovane, tuttavia, non smette di giocare, tanto più che Leandro-Flaminio, allo scopo di continuare a spillargli denaro al tavolo da gioco, lo incoraggia concedendogli una piccola vincita. Trascinato dall’entusiasmo per la somma guadagnata, Eugenio organizza una festa nella bisca, ma l’improvvisa irruzione di Placida, in cerca del marito, genera un tafferuglio. Solo Ridolfo riesce a calmare gli animi e a riportare tutti alla ragione. Il secondo atto Quando Lisaura scopre che Leandro si chiama in realtà Flaminio ed è sposato con Placida, e che dunque è stata ingannata, lo caccia di casa. Questi, deciso a fuggire senza farsi scoprire dalla moglie, chiede aiuto a Don Marzio, che però rivela il suo piano a Placida. Mentre Ridolfo, con pazienza e diplomazia, riesce a convincere Eugenio e Leandro-Flaminio a darsi da fare per ottenere il perdono delle rispettive mogli, il nobile napoletano continua a spargere veleni. Inaspettatamente, però, giunge alla bottega il Capitano delle guardie armate (gli “sbirri”, come venivano comunemente chiamati nel Settecento): allertato da una denuncia riguardo alle losche attività di Pandolfo, egli cerca prove della sua colpevolezza. Non riconoscendolo – il Capitano si è presentato travestito –, Don Marzio finisce involontariamente per tradire Pandolfo, che viene perciò arrestato. Nel finale, mentre Eugenio e Flaminio, grazie a Ridolfo, si riuniscono alle mogli, Don Marzio, svergognato da tutti, è costretto a pentirsi e decide di andarsene dalla città. Il terzo atto Michele Marieschi, , 1740 ca. Collezione privata. Campo San Gallo a Venezia  >> pagina 425 I personaggi e i valori Nella si trovano i temi ricorrenti della produzione goldoniana del periodo: il rinnovamento della commedia attraverso la rivitalizzazione dei personaggi tradizionali, la vivace rappresentazione delle relazioni sociali, la satira della nobiltà (e dei vizi della stessa borghesia), la celebrazione del borghese onesto e laborioso. Particolarmente esplicito è qui l’ , mediante il quale l’autore intende proporre una serie di valori etici a un pubblico costituito soprattutto dalla classe mercantile e imprenditoriale. Bottega del caffè intento moralistico-educativo Nella commedia ha un ruolo centrale la , cui appartengono quasi tutti i personaggi di maggior rilievo, contrapposta a un’aristocrazia impoverita e moralmente inaridita. è il borghese che ha saputo mettere in piedi un’attività dignitosa, conformandosi, nella vita quotidiana, alle virtù dell’ , della , della , della , della . Pur essendo un commerciante accorto, non è ossessionato dall’ansia del profitto; il denaro non è il primo dei suoi valori, tanto che il verbo “guadagnare” ha per lui un significato più ampio di quello riferito ai soldi: «Guadagno il merito di far del bene; guadagno l’amicizia delle persone; guadagno qualche marca [segno] d’onore, che stimo sopra tutte le cose del mondo». piccola e media borghesia veneziana Ridolfo onestà riconoscenza parsimonia razionalità prudenza Il caffettiere argomenta le proprie opinioni in modo equilibrato e razionale, esprimendo, in alcuni passaggi, la stesso. A lui è affidato il compito di ristabilire la lealtà nei rapporti interpersonali, il rispetto della dignità, il riconoscimento dei valori fondanti di una convivenza pacifica e civile. L’obiettivo di Goldoni è far sì che il pubblico, dopo aver riso dei personaggi che si lasciano trascinare dal vizio (e magari essersi riconosciuto in essi), faccia proprie le convinzioni e i comportamenti di Ridolfo. voce dell’autore Ridolfo e la virtuosa borghesia veneziana Lettura critica p. 454   Gli altri rappresentanti della borghesia, con i loro capricci e i loro difetti, costituiscono il rovescio della medaglia, e sono destinati alla sconfitta. è debole e ingenuo, attratto dai e dalla , oltre che dal desiderio di un . Con le sue azioni, egli dimostra una scarsa consapevolezza del valore del denaro, e rischia di mandare in rovina la propria attività commerciale, che, se gestita con competenza, gli frutterebbe guadagni soddisfacenti (come gli dimostra Ridolfo con l’affare delle stoffe vendute a buon prezzo). Incapace di seguire la ragione e troppo incline ad assecondare gli istinti, Eugenio è pronto a pentirsi dei suoi errori, ma altrettanto propenso a ricadervi. Eugenio piaceri trasgressione facile guadagno , imprenditore biscazziere, incarna invece una borghesia corrotta dall’ : cinico e senza scrupoli, pone il profitto al di sopra di qualsiasi valore, facendone l’unica regola di vita. Pandolfo avidità Il cinismo caratterizza anche , che, , ha lasciato la moglie e un’onesta attività di segretario di un mercante per sfruttare la buona fede altrui. Leandro-Flaminio falso e profittatore Gli altri borghesi: i vizi da evitare  >> pagina 426  Dall’altro canto, l’aristocrazia è dipinta da Goldoni come un . La sua involuzione è incarnata dalla maligna figura di , perfetto rappresentante di una classe sociale parassitaria, incapace di accogliere nel suo sistema di valori la laboriosità borghese e di contribuire al miglioramento della società. , Don Marzio prova soddisfazione nel rovinare la reputazione altrui, come se la ciarla e la calunnia fossero gli unici risarcimenti della crisi economica e morale che ha travolto il suo ceto. ceto ozioso e improduttivo Don Marzio Presuntuoso e saccente La nobiltà parassitaria Le concitate vicende messe in scena da Goldoni dimostrano come rinnegare o trascurare i valori incarnati da Ridolfo crei disordine, instabilità, ingiustizia, e dunque minacci il benessere della comunità. Contro tale eventualità si battono le della commedia, , che Goldoni giudica il nucleo fondante della società («Separare il marito dalla moglie, è un’opera contro tutte le leggi, e non si possono sperare che disordini e pregiudizi», fa dire a Ridolfo). Apparentemente deboli e prive dell’esuberanza dei personaggi maschili, Vittoria e Placida rivelano in realtà , e una spiccata : dotate di coraggio e fierezza nel difendere i propri interessi e consapevoli del proprio ruolo, esse lottano per redimere i mariti dalla cieca schiavitù dei sensi, riuscendo alla fine, grazie al perdono e al senso di responsabilità, a farli pentire delle loro debolezze. figure femminili tenaci paladine della famiglia spirito pratico determinazione capacità di sopportazione Le donne Personaggi principali  Caratteristiche caffettiere RIDOLFO  Onesto ed equilibrato, è un modello di virtù e di laboriosità borghese.   gentiluomo napolitano DON MARZIO Presuntuoso e sicuro di sé, sparge ovunque i veleni della maldicenza; su un piano sociale, rappresenta una nobiltà economicamente decaduta e moralmente corrotta.   mercante EUGENIO Ingenuo e incline al vizio, rappresenta la debolezza umana ed è espressione di una borghesia che ha rinunciato al lavoro per ottenere la ricchezza senza fatica.  sotto nome di Conte Leandro FLAMINIO Borghese falso e profittatore, ha lasciato un’attività onesta per arricchirsi sulla buona fede altrui.   moglie di Flaminio, in abito di pellegrina PLACIDA   moglie di Eugenio VITTORIA Determinate e caparbie, sopportano le debolezze dei mariti e, con senso di responsabilità, concedono loro il perdono; tenaci paladine della famiglia, rappresentano un genere femminile che si batte per evitare il disordine derivante dalla perdita dei valori morali.   ballerina LISAURA Vittima della maldicenza di Don Marzio, che sparla circa la sua moralità, è ingannata anche da Leandro, che le fa credere di essere un nobile intenzionato a sposarla.   biscazziere PANDOLFO Avido e privo di scrupoli, rappresenta una borghesia parassitaria, che ha misconosciuto il valore del lavoro e dell’impegno.   garzone di Ridolfo TRAPPOLA Erede del servo furbo della commedia dell’arte, è arguto, simpatico e sincero nel manifestare i propri difetti.