T5 Dagli atrii muscosi, dai Fori cadenti , coro dell’atto III Adelchi 11 strofe di doppi senari, rimati AABCCB (la rima in B è sempre tronca). Posto alla fine del terzo atto, è il primo dei due cori della tragedia. I franchi invadono la Pianura padana, mettendo in fuga i longobardi, che da tempo vi spadroneggiavano. Le popolazioni italiche assistono ansiose nella speranza che la sconfitta degli antichi oppressori si traduca nella loro emancipazione. Ma la voce del coro si incarica di dissipare le illusioni: un padrone sostituisce l’altro e la libertà non può arrivare per mano straniera. Composto in pochi giorni, nel gennaio del 1822, il testo è sottoposto a un lungo lavoro di correzione, per eliminare i riferimenti troppo espliciti alle strategie politiche della Restaurazione, che non avrebbero passato il vaglio della censura austriaca. Metro  frustrate di un  Speranze popolo oppresso PARAFRASI Dagli atrii muscosi, dai Fori cadenti, dai boschi, dall’arse fucine stridenti, dai solchi bagnati di servo sudor, un volgo disperso repente si desta; intende l’orecchio, solleva la testa 5      percosso da novo crescente romor.  Dagli atri degli antichi palazzi invasi dal muschio ( ), dalle piazze e dai monumenti antichi in rovina ( ), dai boschi, dalle officine rumorose ( ) e riarse dal fuoco, dai campi bagnati con sudore di schiavi, una plebe divisa all’improvviso ( ) si sveglia; tende l’orecchio e solleva il capo, scossa ( ) da una notizia ( ) inattesa e dilagante. 1-6 muscosi Fori cadenti stridenti repente percosso romor i palazzi invasi dal muschio, le vestigia di un lontano passato glorioso simboleggiano il periodo di decadenza vissuto dalle popolazioni italiche, offrendo una rappresentazione pittoresca delle rovine che ricorda le incisioni di Giambattista Piranesi (1720-1778). Dagli atrii muscosi… fucine stridenti: 1-2 cadenti si tratta della notizia della disfatta dei longobardi a opera dei franchi. novo crescente romor: 6 Dai guardi dubbiosi, dai pavidi volti, qual raggio di sole da nuvoli folti, traluce de’ padri la fiera virtù:  ne’ guardi, ne’ volti confuso ed incerto 10    si mesce e discorda lo spregio sofferto col misero orgoglio d’un tempo che fu.  Dagli sguardi dubbiosi, dai volti impauriti, balena ( ) il valore guerriero degli avi, come un raggio di sole tra nuvole fitte ( ): negli sguardi, nei volti, le umiliazioni subite ( ) si mescolano e contrastano, confuse e incerte, con il misero orgoglio dei tempi andati. 7-12 traluce nuvoli folti spregio sofferto anche l’antico valore non è ormai che un’ombra fuggevole, sui volti delle popolazioni italiche rese inerti dalla lunga oppressione. Dai guardi dubbiosi… fiera virtù: 7-9 S’aduna voglioso, si sperde tremante per torti sentieri, con passo vagante,  fra tema e desire, s’avanza e ristà; 15    e adocchia e rimira scorata e confusa de’ crudi signori la turba diffusa, che fugge dai brandi, che sosta non ha.  La gente si raduna speranzosa, si disperde intimorita per sentieri tortuosi, con passo incerto ( ), fra la paura e il desiderio ( ) avanza e si ferma ( ); e guarda e studia le schiere disordinate ( ) dei crudeli oppressori ( ), scoraggiate e confuse, che fuggono senza sosta dal campo di battaglia ( ). 13-18 vagante tema e desire ristà la turba diffusa signori dai brandi si riunisce. Soggetto di questo e dei verbi successivi è ancora il volgo del v. 4. S’aduna: 13 letteralmente, “dalle spade” dei franchi vittoriosi. dai brandi: 18 Ansanti li vede, quai trepide fere,  irsuti per tema le fulve criniere, 20    le note latebre del covo cercar; e quivi, deposta l’usata minaccia, le donne superbe, con pallida faccia, i figli pensosi pensose guatar.  Li vede ansimanti, come spaventate bestie feroci, con le chiome ( ) fulve irte per la paura, cercare i noti anfratti ( ) del loro covo; e qui, abbandonato il consueto atteggiamento minaccioso, vede le donne altere, con il volto pallido, guardare ( ) inquiete i figli inquieti. 19-24 criniere latebre guatar i longobardi sono paragonati a bestie spaventate, in fuga verso le loro tane. trepide fere: 19 accusativo di relazione. le fulve criniere: 20 per la paura dei franchi invasori. con pallida faccia: 23 E sopra i fuggenti, con avido brando, 25     quai cani disciolti, correndo, frugando, da ritta, da manca, guerrieri venir: li vede, e rapito d’ignoto contento, con l’agile speme precorre l’evento, e sogna la fine del duro servir. 30      E da destra e da sinistra vede arrivare addosso ai fuggitivi guerrieri con spade desiderose di colpire ( ), come cani sciolti che corrono e frugano: li vede, e presa da una gioia sconosciuta ( ), con la speranza che corre veloce ( ) precorre gli eventi, e sogna la fine della dura schiavitù. 25-30 avido brando ignoto contento l’agile speme Udite! quei forti che tengono il campo, che ai vostri tiranni precludon lo scampo, son giunti da lunge, per aspri sentier: sospeser le gioie dei prandi festosi,  assursero in fretta dai blandi riposi, 35    chiamati repente da squillo guerrier.  Ascoltate! Quei vincitori ( ) che occupano il campo di battaglia e che impediscono la fuga ai vostri tiranni sono arrivati da lontano, lungo strade faticose: hanno sospeso la gioia dei festosi pranzi ( ), in fretta si sono levati dai dolci riposi, chiamati all’improvviso da trombe di guerra ( ). 31-36 forti prandi squillo guerrier apostrofe del poeta agli italici. Udite!: 31 Lasciâr nelle sale del tetto natio le donne accorate, tornanti all’addio, a preghi e consigli che il pianto troncò: han carca la fronte de’ pesti cimieri, 40     han poste le selle sui bruni corsieri, volaron sul ponte che cupo sonò.  Hanno lasciato ( ) nelle sale della casa ( ) natia le donne affrante, che ripetevano i saluti di commiato ( ), intente a preghiere e a consigli interrotti dal pianto: hanno il capo gravato da elmi ammaccati ( ), hanno posto le selle sui bruni cavalli ( ), hanno galoppato sul ponte levatoio che ha emesso un suono cupo al loro passaggio. 37-42 Lasciâr tetto tornanti all’addio pesti cimieri corsieri qui Manzoni indulge al gusto medievaleggiante diffuso nelle ballate romantiche del primo Ottocento, dove pullulano elmi, cavalli e ponti levatoi. han carca… cupo sonò: 40-42 A torme, di terra passarono in terra, cantando giulive canzoni di guerra, ma i dolci castelli pensando nel cor: 45     per valli petrose, per balzi dirotti, vegliaron nell’arme le gelide notti, membrando i fidati colloqui d’amor.  A gruppi sono passati di paese in paese, cantando allegre canzoni di guerra, ma pensando in cuor loro ai dolci castelli lasciati: percorrendo valli pietrose e balze scoscese ( ) hanno vegliato armati nelle notti gelide, ricordando ( ) i fiduciosi colloqui d’amore. 43-48 balzi dirotti membrando Gli oscuri perigli di stanze incresciose, per greppi senz’orma le corse affannose, 50     il rigido impero, le fami durâr: si vider le lance calate sui petti, a canto agli scudi, rasente agli elmetti, udiron le frecce fischiando volar.  Hanno sopportato ( ) gli ignoti pericoli di soste snervanti ( ), le corse affannose attraverso dirupi senza traccia di passaggi ( ), la disciplina ferrea ( ), la fame: hanno visto le lance nemiche contro i loro petti, accanto agli scudi, rasente agli elmi hanno sentito il fischio delle frecce scagliate. 49-54 durâr stanze incresciose greppi senz’orma rigido impero E il premio sperato, promesso a quei forti, 55     sarebbe, o delusi, rivolger le sorti, d’un volgo straniero por fine al dolor? Tornate alle vostre superbe ruine, all’opere imbelli dell’arse officine, ai solchi bagnati di servo sudor. 60      E il premio sperato, promesso a quei valorosi ( ) sarebbe, o illusi ( ), di mutare le vostre sorti, di porre fine alle sofferenze di una plebe straniera? Tornate alle vostre superbe rovine, alle mansuete ( ) opere delle vostre riarse officine, ai campi bagnati dal sudore di schiavi. 55-60 forti delusi imbelli in una redazione precedente il poeta osservava che se i franchi avessero voluto recare beneficio agli oppressi avrebbero potuto cominciare con la «lurida plebe» che abitava le loro terre. d’un volgo… dolor: 57 il passo riecheggia i versi iniziali, per rimarcare l’immutata condizione servile. Tornate… sudor: 58-60 Il forte si mesce col vinto nemico, col novo signore rimane l’antico; l’un popolo e l’altro sul collo vi sta. Dividono i servi, dividon gli armenti; si posano insieme sui campi cruenti 65     d’un volgo disperso che nome non ha.  I vincitori si mescolano al nemico vinto, il vecchio signore rimane in compagnia del nuovo; l’uno e l’altro popolo incombono su di voi ( ). Si spartiscono i servi, il bestiame ( ); insieme si stanziano sui campi insanguinati ( ) di una plebe divisa e senza nome. 61-66 sul collo vi sta gli armenti cruenti  >> pagina 296  Dentro il TESTO I contenuti tematici Come spiega nella prefazione al , Manzoni nelle sue tragedie riprende dai modelli classici l’espediente dei cori, piegandoli però ad assumere una diversa funzione: ne fa dei «cantucci» che si riserva per commentare le vicende, sostituendo la propria voce a quella dei personaggi. In questa occasione, interrotta l’azione nel momento in cui i franchi trionfano, il poeta non propone in partenza una meditazione personale, ma ripercorre gli eventi adottando il punto di vista di una terza componente rimasta sinora nell’ombra, ovvero i popoli italici che assistono sbigottiti alla sconfitta dei loro signori longobardi (vv. 1-30). Conte di Carmagnola In armonia con lo spirito evangelico, Manzoni concentra la propria attenzione sugli umili, in opposizione alla prospettiva della tragedia classica, per la quale si dovrebbero ritenere degne d’interesse soltanto le gesta di eroi e grandi personaggi. Egli realizza così, allo stesso tempo, gli obiettivi delineati nella lettera a Chauvet e nel   Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica : completa cioè il nudo referto dei documenti storici integrandoli con i sentimenti di una massa di uomini passati sulla terra senza lasciare traccia. Il   volgo disperso   (vv. 4 e 66), le «genti meccaniche» che nell’ Adelchi   restano relegate nel coro del terzo atto balzeranno in primo piano nei   Promessi sposi , in tutta la loro vitale individualità. Il punto di vista del  volgo disperso Agli italici, che fanno da spettatori al corso della Storia, il poeta indirizza una fremente apostrofe (vv. 31-66). In primo luogo propone un sulle rinunce, sulle fatiche e sui rischi affrontati dai franchi nel corso della campagna militare. Nel descrivere gli invasori giunti da Oltralpe, Manzoni a tratti sembra cedere al fascino della saga barbarica, ma in realtà l’insistenza sul loro coraggio e vigore risulta funzionale al passaggio successivo, in quanto essa alimenta l’interrogativo retorico rivolto agli italici: perché illudersi? A che pro sperare che un esercito straniero intervenga gratuitamente per restituire la libertà a un popolo che ha dimenticato le antiche glorie, ormai ridotto a in stato di schiavitù? flash back volgo disperso Incapaci di agire, gli italici non possono che assistere agli avvenimenti, con il cuore in tumulto. Ma questa è già una sconfitta: ancora una volta gli autentici vinti, al di là delle apparenze, sono loro. I longobardi, che non si sono mai fusi con le popolazioni locali (ma la storiografia moderna ha poi smussato questa tesi troppo netta), troveranno presto un accordo con i nuovi oppressori: (vv. 62-63). col novo signore rimane l’antico; / l’un popolo e l’altro sul collo vi sta Udite! : il commento del poeta Giambattista Piranesi, (particolare), XVIII secolo. Firenze, Gabinetto dei disegni e delle stampe degli Uffizi. Veduta di Campo Vaccino  >> pagina 297  In tal modo Manzoni lancia un evidente monito ai patrioti a lui contemporanei, che – un millennio più tardi – si trovavano a fronteggiare situazioni non troppo dissimili. Tramontato il Regno d’Italia, satellite della Francia napoleonica, il ritorno degli Asburgo aveva dissipato molti generosi sogni d’autonomia. L’ Adelchi , scritto all’indomani della repressione violenta con cui l’Austria aveva reagito ai moti del 1821, risente fortemente del clima di tensione che allora si respirava a Milano. Le conseguenze politiche della Restaurazione e il dominio repressivo dell’Austria insegnano come libertà e rispetto si debbano conquistare con le proprie forze, ma non solo: le sconfitte dei carbonari sono le sconfitte di un progetto elitario, che non aveva cercato né trovato vasta condivisione popolare. Manzoni, indifferente al mito romantico dell’eroe solitario, ritiene invece che sia fondamentale suscitare il più possibile la volontà del popolo intorno all’idea di nazione. Il rinnovamento della società italiana e la conquista dell’indipendenza devono essere perseguiti da tutti gli italiani, non solo dagli intellettuali, ai quali pure spetta il compito di sensibilizzare l’opinione pubblica. La lezione della Storia Le scelte stilistiche L’uso di versi parisillabi quali i doppi senari, in cui gli accenti sono fissi, conferisce al coro cadenze regolari e incalzanti, molto adatte a scene belliche e di folla. Questo ritmo, che mima l’andamento di una poesia popolare, ricalca i caratteri della ballata romantica. Se il lessico si mantiene su un registro elevato, con abbondante presenza di aulicismi ( , , , , ), scarseggiano tuttavia le perifrasi auliche, e soprattutto la sintassi appare molto lontana dalla tendenza all’uso delle subordinate secondo il costrutto latino tipica di poeti come Parini o Monti. tema desire brandi latebre speme Alla semplicità della metrica fa riscontro infatti la semplicità della sintassi, in cui prevalgono le proposizioni coordinate per asindeto ( , vv. 4-5), mai troppo estese: nessun periodo oltrepassa la misura della strofa. Insieme alle numerose figure della ripetizione (inaugurate dall’insistita anafora dei primi tre versi), sono questi i mattoni su cui Manzoni costruisce i continui crescendo che danno al lettore l’impressione complessiva di una drammatica concitazione. si desta; / intende l’orecchio, solleva la testa La resa drammatica Verso le COMPETENZE Comprendere 1 Sintetizza in 10-15 righe il contenuto informativo del testo. Analizzare 2 Individua gli aggettivi e le espressioni utilizzate per descrivere i tre diversi popoli. Quali atteggiamenti e caratteristiche di ciascuno emergono? Italici Franchi Longobardi     3 Quale similitudine viene usata nella quarta e quinta strofa per descrivere la fuga dei Longobardi inseguiti dai Franchi? Che effetto produce? 4 Quali elementi ricordano la passata gloria e grandezza dei popoli Italici? A quale periodo storico si allude? 5 A chi si rivolge, in realtà, l’autore ai vv. 31 e 58?  >> pagina 298  Interpretare 6 Quale giudizio complessivo sulle popolazioni italiche emerge dal testo? Confronta la situazione storica descritta nel brano con quella in cui scrive Manzoni: quali analogie e quali differenze cogli? 7 Produrre   8 Scrivere per argomentare.  Quale pittore o disegnatore (anche di fumetti) a tuo parere potrebbe efficacemente ritrarre la scena a cui gli italici assistono? Spiega i motivi della tua scelta in un testo argomentativo di circa 20 righe. Storia e Provvidenza 5 La ha un ruolo fondamentale in tutta l’opera creativa e saggistica di Manzoni, che a essa guarda per comporre tanto le due tragedie, e (ambientate la prima nel XV secolo, la seconda nell’VIII), quanto il romanzo (situato nel XVII secolo). Dagli francesi frequentati in gioventù, lo scrittore milanese mutua un approccio agli eventi del passato lontano dalle consuetudini tradizionali. Lungi dal ridurre la Storia a celebrazione delle imprese militari e delle vicende politiche, egli mira a una ricostruzione più ampia, che non si limiti a proiettare in primo piano le gesta di principi e generali, ma tenga conto dell’esistenza di chi nel tempo si sia trovato a subire le ragioni della forza, dunque anche degli appartenenti alle classi più umili. meditazione sulla Storia Il conte di Carmagnola Adelchi I promessi sposi idéologues Questa impostazione, sottesa al disegno dei , è chiaramente espressa da Manzoni nel , scritto e pubblicato a margine dell’ , nel 1822. Trovatosi dinanzi alla mancanza di testimonianze sulla vita degli italici durante la dominazione longobarda, ai fini di una rappresentazione corretta l’autore si dice convinto dell’esigenza di dar voce ai «desideri, i timori, i patimenti, lo stato generale dell’immenso numero d’uomini che non ebbero parte attiva in quell’avvenimento, ma che ne provaron gli effetti». Quei milioni di uomini che sulla Terra passarono senza lasciare traccia, come comparse invisibili, salgono adesso sul palcoscenico della letteratura e della storiografia. Promessi sposi Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia Adelchi La letteratura e gli oppressi A ossessionarlo è la questione relativa alla presenza del , a causa del quale, in ultima analisi, nella vita terrena non vi è spazio per azioni nobili o disinteressate, ma solo per la violenza che divide il mondo in «oppressori» e «oppressi». Come dice con amarezza Adelchi, agli uomini «non resta / che far torto o patirlo». male nella Storia La Grazia divina si presenta allora nei confronti degli eroi manzoniani sotto forma di « », ovvero di una disgrazia terrena che li colloca fra gli «oppressi»: sconfitte e umiliazioni portano la salvezza eterna ad Adelchi, alla sorella Ermengarda, come anche a Napoleone nel . Da buon cattolico, l’autore vede nella Storia il compimento del volere divino. La Provvidenza agisce in modo imperscrutabile, ma ciò non diminuisce d’altra parte le . provvida sventura Cinque maggio responsabilità degli uomini «Far torto o patirlo»  >> pagina 299  La più alta e intensa riflessione di Manzoni su quest’ultimo punto è costituita dal saggio , dove rifiuta le opinioni espresse da Pietro Verri nelle . Verri aveva ricondotto l’esito del processo agli untori che ebbe luogo nella Milano del 1630, devastata dalla peste, all’ignoranza diffusa in un’epoca violenta e alle leggi sbagliate, che giustificarono le torture e procurarono condanne ingiuste. Storia della colonna infame Osservazioni sulla tortura Manzoni, tornando sul medesimo processo, sostiene che ridurre quel risultato abominevole a «un effetto de’ tempi e delle circostanze» è inaccettabile per un credente. Il peso della responsabilità a suo parere ricade interamente sui giudici che punirono degli innocenti, calpestando ogni regola: «se non seppero quello che facevano, fu per non volerlo sapere, fu per quell’ignoranza che l’uomo assume e perde a suo piacere, e non è una scusa, ma una colpa». La Storia della colonna infame Al di là di ogni condizionamento, dunque, pienamente . I comportamenti morali, gli abissi del cuore umano nei sono ampiamente valutati e commentati, senza attenuanti permesse dall’iniquità dei tempi. Nel romanzo che consentono di verificare e temprare la fede dei personaggi, che la chiamano in causa a più riprese, a differenza del narratore onnisciente che non la nomina mai esplicitamente: dinanzi al mistero della Grazia divina, «un ordine che passa [supera] immensamente la nostra cognizione» (come scrive nel dialogo ), Manzoni fa un passo indietro e sceglie per sé un silenzio reverente. l’uomo risponde delle sue azioni Promessi sposi la Provvidenza trasforma il male in una serie di prove Dell’invenzione Il mistero della Grazia T6 Sparse le trecce morbide , coro dell’atto IV Adelchi Ripudiata da Carlo Magno, Ermengarda è stata relegata a Brescia, nel monastero di San Salvatore. La prima parte dell’atto quarto e il coro sono incentrati sull’inesorabile agonia della donna, vittima designata della ragion di Stato, che muore incolpevole, ricordando l’amore perduto dello sposo. Accudita dalle suore e confortata dalla presenza della sorella Ansberga, Ermengarda spira illuminata dalla luce della fede. Sestine di settenari, alternativamente sdruccioli e con il verso finale tronco, con schema di rime ABCBDE. Metro La   di un’ disillusione innocente parafrasi Sparsa le trecce morbide sull’affannoso petto, lenta le palme, e rorida di morte il bianco aspetto,   giace la pia, col tremolo 5     sguardo cercando il ciel. L’agonia di Ermengarda  Con le trecce morbide sciolte sul petto affannato, con le mani ( ) abbandonate ( ) e con il volto pallido ( ) bagnato dal sudore della morte ( ), giace la pia [Ermengarda] cercando il cielo con lo sguardo tremante ( ). 1-6 palme lenta il bianco aspetto rorida di morte tremolo è un complemento di relazione (o accusativo alla greca), come i successivi (vv. 3-4). sparsa le trecce morbide: 1 lenta le palme e rorida di morte il bianco aspetto letteralmente “rugiadosa”, “bagnata di rugiada”. Qui la rugiada è, metaforicamente, il sudore della morte. rorida: 3 l’aggettivo è utilizzato insieme nel significato attivo (“religiosa”) e in quello passivo (“degna di pietà”). pia: 5 Cessa il compianto: unanime s’innalza una preghiera: calata in su la gelida fronte, una man leggiera 10     sulla pupilla cerula stende l’estremo vel.  Cessa il lamento (delle suore): si innalza una preghiera collettiva ( ): una mano delicata, scesa ( ) sulla fronte ormai fredda, stende l’ultimo ( ) velo sugli occhi azzurri ( ). 7-12 unanime calata estremo sulla pupilla cerula concretamente la mano di una delle suore, che chiude gli occhi a Ermengarda subito dopo il trapasso ( , v. 12), ma allusivamente anche la mano di Dio. una man leggiera: 10 stende l’estremo vel Sgombra, o gentil, dall’ansia mente i terrestri ardori; leva all’Eterno un candido 15     pensier d’offerta, e muori: fuor della vita è il termine del lungo tuo martir.  Cancella ( ) le passioni terrene ( ) dalla mente agitata ( ), o nobile donna ( ); innalza ( ) a Dio ( ) un puro pensiero di offerta, e muori: la meta ( ) della tua prolungata sofferenza ( ) è oltre la vita. 13-18 Sgombra i terrestri ardori ansia gentil leva all’Eterno il termine del tuo lungo martir è aggettivo, dal latino , che significa “affannato”, “inquieto”, “ansioso”. ansia: 13 anxius «le passioni terrestri, che ardono e consumano come fuoco» (Cappuccio). i terrestri ardori: 14 Manzoni invita Ermengarda a offrire sé stessa a Dio. un candido... d’offerta: 15-16 il poeta esorta così Ermengarda ad accogliere in pace la morte. e muori: 16 il vocabolo non indica solo la fine, ma anche la meta, il traguardo e dunque lo scopo. Il senso della vita di Ermengarda si può cogliere soltanto nella prospettiva dell’eternità. il termine: 17 Tal della mesta, immobile era quaggiuso il fato: 20     sempre un obblio di chiedere che le saria negato; e al Dio de’ santi ascendere santa del suo patir. L’insorgere dei ricordi  Tale era quaggiù (sulla Terra) il destino ( ) immutabile ( ) dell’infelice: chiedere sempre una dimenticanza ( ) che le sarebbe stata ( ) negata; e salire al Dio dei santi resa santa dalle sue sofferenze ( ). 19-24 fato immobile obblio le saria patir la dimenticanza del suo amore per Carlo e del dolore che ne era conseguito per lei. un obblìo: 21 letteralmente, appartenenti alla tribù franca dei Salii. saliche: 22 Ahi! nelle insonni tenebre, 25     pei claustri solitari, tra il canto delle vergini, ai supplicati altari, sempre al pensier tornavano gl’irrevocati dì; 30      Oh! nelle notti ( ) insonni, tra i chiostri ( ) solitari, tra i canti delle suore ( ), dinanzi agli altari presso i quali pregava ( ), ritornavano sempre al suo pensiero i giorni non richiamati volontariamente alla memoria ( ); 25-30 tenebre claustri vergini supplicati irrevocati quando ancor cara, improvida d’un avvenir mal fido, ebbra spirò le vivide aure del Franco lido, e tra le nuore Saliche 35     invidiata uscì:  quando ancora amata (da Carlo), ignara ( ) del futuro infìdo ( ), respirò inebriata (di felicità) l’aria piena di vita ( ) della terra ( ) di Francia, e comparve ( ) come oggetto d’invidia tra le spose ( ) dei Franchi ( ). 31-36 improvida mal fido le vivide aure lido uscì nuore Saliche quando da un poggio aereo, il biondo crin gemmata, vedea nel pian discorrere la caccia affaccendata, 40     e sulle sciolte redini chino il chiomato sir;  quando da un poggio elevato ( ), con i biondi capelli adorni di gemme, vedeva svolgersi ( ) nella pianura la caccia frenetica ( ), e il re dai lunghi capelli ( , Carlo) chinato sulle redini sciolte; 37-42 poggio aereo discorrere affaccendata il chiomato sir altro accusativo alla greca. il biondo crin gemmata: 38 latinismo, “correre qua e là”. discorrere: 39 del cavallo spinto al galoppo. sulle sciolte redini: 41 e dietro a lui la furia de’ corridor fumanti; e lo sbandarsi, e il rapido 45     redir dei veltri ansanti; e dai tentati triboli l’irto cinghiale uscir;  e dietro di lui (vedeva) l’impeto ( ) dei cavalli ( ) fumanti (di sudore); e il cambio di direzione ( ), e poi il veloce ritorno dei cani da caccia ( ) ansimanti; e il cinghiale irsuto ( ) uscire dai cespugli spinosi ( ) frugati (dai cani); 43-48 la furia corridor lo sbandarsi veltri irto triboli e la battuta polvere  rigar di sangue, colto 50    dal regio stral: la tenera alle donzelle il volto volgea repente, pallida d’amabile terror.  e (vedeva il cinghiale) rigare di sangue la polvere battuta, colpito dalla freccia del re ( ): la tenera volgeva rapidamente ( ) il volto verso le sue damigelle ( ), pallida per la paura che la rendeva ancor più amabile. 49-54 dal regio stral repente donzelle Oh Mosa errante! oh tepidi 55     lavacri d’Aquisgrano! Ove, deposta l’orrida maglia, il guerrier sovrano scendea del campo a tergere il nobile sudor! 60      Oh Mosa dal corso tortuoso ( )! Oh tiepidi bagni termali ( ) di Aquisgrana! Dove il re guerriero, tolta l’orribile armatura ( ), si immergeva per lavare il nobile sudore! 55-60 errante lavacri orrida maglia fiume che scorre presso Aquisgrana, dove Carlo Magno aveva stabilito la propria dimora. Mosa: 55 nell’aggettivo c’è tutto lo sguardo di Ermengarda, che aborre la guerra e la violenza. orrida maglia: 57-58 Come rugiada al cespite dell’erba inaridita, fresca negli arsi calami fa rifluir la vita, che verdi ancor risorgono 65     nel temperato albor;  Come la rugiada (che scende) su un cespuglio ( ) di erba inaridita fa rifluire la vita negli steli rinsecchiti ( ), che si rialzano nuovamente ( ) verdi nell’alba dalla temperatura mite ( ); 61-66 cespite arsi calami ancora temperato albor tale al pensier, cui l’empia virtù d’amor fatica, discende il refrigerio d’una parola amica, 70     e il cor diverte ai placidi gaudii d’un altro amor. così ( ) il conforto ( ) di una parola amica scende sul pensiero che( ) la spietata forza ( ) dell’amore opprime ( ), e rivolge ( ) il cuore alle gioie serene ( ) di un altro amore. 67-72 tale refrigerio cui empia virtù fatica diverte ai placidi gaudii il pronome relativo è complemento oggetto del verbo (v. 68), di cui è soggetto (vv. 67-68). cui: 67 fatica l’empia virtù nel significato latino di “forza”. virtù: 68 Ma come il sol che reduce l’erta infocata ascende, e con la vampa assidua 75     l’immobil aura incende, risorti appena i gracili steli riarde al suol;  Ma come il sole che sorgendo ( ) risale la volta ( ) infuocata del cielo, e infiamma ( ) l’aria senza vento ( ) con il suo implacabile calore ( ), brucia e prostra nuovamente al suolo ( ) i gracili steli appena rialzatisi ( ); 73-78 reduce erta incende immobile vampa assidua riarde al suol risorti letteralmente “salita”. erta: 74 ratto così dal tenue obblìo torna immortale 80     l’amor sopito, e l’anima impaurita assale, e le sviate immagini richiama al noto duol.  così, con la stessa rapidità ( ), l’amore acquietato ( ) ritorna invincibile ( ) dopo il breve periodo in cui era stato dimenticato ( ), e assale l’animo sgomento, e richiama all’usuale sofferenza le immagini momentaneamente allontanate ( ). 79-84 ratto sopito immortale dal tenue obblìo sviate l’amore viene qui definito , mentre l’obblìo viene detto tenue. A fronte della forza insopprimibile della passione, il tentativo di dimenticarla è un proposito destinato a fallire. dal tenue... sopito: 79-80 immortale Sgombra, o gentil, dall’ansia 85     mente i terrestri ardori; leva all’Eterno un candido pensier d’offerta, e muori: nel suol che dee la tenera tua spoglia ricoprir, 90     La “provida sventura ”  Cancella ( ) dalla mente agitata ( ), o nobile donna ( ), le passioni terrene ( ); innalza ( ) a Dio ( ) un puro pensiero di offerta, e muori: nella terra che ricoprirà il tuo tenero corpo, 85-90 Sgombra ansia gentil i terrestri ardori leva all’Eterno altre infelici dormono, che il duol consunse; orbate spose dal brando, e vergini indarno fidanzate;  madri che i nati videro 95    trafitti impallidir.  sono sepolte ( ) altre infelici, che il dolore ha consumato ( ); spose rese vedove ( ) dalla spada ( ), e fanciulle ( ) fidanzate inutilmente ( ); madri che videro impallidire i loro figli ( ) trafitti (dalle armi). 91-96 dormono che il duol consunse orbate brando vergini indarno nati sono le donne latine. altre infelici: 91 private (dei mariti). orbate: 92 dalla spada, cioè dalla violenza della guerra. dal brando: 93 è il pallore della morte. impallidir: 96 Te dalla rea progenie degli oppressor discesa, cui fu prodezza il numero, cui fu ragion l’offesa, 100 e dritto il sangue, e gloria il non aver pietà,  Te che discendi dalla stirpe ( ) colpevole ( ) degli oppressori, per i quali fu prodezza la superiorità numerica ( ) e ragione la violenza ( ), e diritto lo spargimento di sangue, e gloria l’essere spietati, 97-102 progenie rea il numero l’offesa i Longobardi. oppressor: 98 te collocò la provida sventura in fra gli oppressi: muori compianta e placida; 105 scendi a dormir con essi: alle incolpate ceneri nessuno insulterà.  te la sventura provvidenziale ( ) pose tra gli oppressi: muori compianta e serena ( ); scendi a riposare con loro (con gli oppressi): nessuno oserà maledire ( ) le tue spoglie innocenti ( ). 103-108 provida placida insulterà incolpate ceneri Muori; e la faccia esanime si ricomponga in pace; 110 com’era allor che improvida d’un avvenir fallace, lievi pensier virginei solo pingea. Così  Muori, e il tuo volto senza vita ( ) si ricomponga in pace; come era quando, ignaro ( ) del futuro ingannevole ( ), lasciava trasparire ( ) soltanto delicati ( ) pensieri di fanciulla ( ). Allo stesso modo ( ) 109-114 esanime improvida fallace pingea lievi virginei Così la pace discesa con la morte sul volto di Ermengarda non è conseguenza di un’immobilità funebre, fredda, glaciale, bensì quasi il ritorno della serenità giovanile di un animo proteso con fiducia verso il futuro e ancora ignaro delle tempeste della vita. e la faccia... in pace: 109-110 letteralmente “dipingeva”. pingea: 114 dalle squarciate nuvole 115 si svolge il sol cadente, e, dietro il monte, imporpora il trepido occidente: al pio colono augurio di più sereno dì. 120  il sole che tramonta si libera ( ) dalle nuvole squarciate, e da dietro le montagne colora di rosso ( ) la parte occidentale del cielo che si riempie di una luce tremula ( ): augurio di un tempo più sereno per il contadino speranzoso ( ). 115-120 si svolge imporpora il trepido occidente pio colono la speranza del contadino, che simboleggia quella di tutta l’umanità, è connotata, tramite l’aggettivo a lui riferito, anche in senso religioso. pio colono: 119 pio  >> pagina 303  Dentro il TESTO I contenuti tematici Partendo dalla narrazione della vicenda storica, Manzoni s’inoltra nell’analisi dei sentimenti: da una parte l’ideale morale incarnato dalla virtù incontaminata dei principi Adelchi ed Ermengarda, dall’altra la realtà politica dominata dalla smania di potere del re longobardo Desiderio e del re franco Carlo Magno. Ermengarda appare come vittima incolpevole del potere politico e delle sue dinamiche, ma proprio il dolore che essa è costretta a subire la redime dalle colpe della sua gente, i Longobardi, che – prima dell’arrivo dei Franchi – hanno a lungo oppresso le popolazioni italiche. Ermengarda vittima innocente Come spesso accade con le maggiori liriche manzoniane, anche questo testo, che rappresenta una pausa nello sviluppo narrativo della tragedia, può essere suddiviso in tre parti. La prima (vv. 1-24) è occupata dalla raffigurazione di Ermengarda morente, alla quale il poeta rivolge pietose parole di conforto: la terza strofa, attraverso l’apostrofe al personaggio ( ecc., vv. 13-14 ss.), segna il passaggio alla sezione più propriamente lirica del coro. Sgombra, o gentil, dall’ansia / mente i terrestri ardori La seconda parte (vv. 25-60) illustra, dopo una strofa di raccordo e di commento (vv. 19-24), il dramma morale della donna, combattuta tra il desiderio di dimenticare il passato e il continuo ripresentarsi della memoria del suo amore per Carlo: le strofe dalla quinta alla nona (vv. 25-54) formano sintatticamente un unico periodo, costruito sull’affollarsi incalzante dei ricordi; le patetiche esclamazioni della decima strofa (vv. 55-60), in cui vengono rievocati i momenti di intimità dei bagni termali, segnano una più diretta immedesimazione del poeta con l’animo di Ermengarda. Nella terza e ultima parte (vv. 85-120), dopo una lunga similitudine che occupa ben quattro strofe (vv. 61-84, ecc.), attraverso la ripresa (ai vv. 85-88) delle parole già in precedenza rivolte dal poeta a Ermengarda (vv. 13-16) viene sviluppato il motivo della (vv. 103-104): lei, discesa dalla (v. 97) degli oppressori, ora purificata dalla sofferenza ( , come era stato anticipato al v. 24) può morire (v. 105), con il volto finalmente rasserenato. Come rugiada al cespite dell’erba inaridita provida sventura rea progenie santa del suo patir compianta e placida Tuttavia, a garantire la coerenza e la compattezza del testo, sono presenti diversi legami tra le varie parti: per esempio, oltre alla ripetizione dello stesso gruppo di versi (vv. 13-16 e 85-88), ai vv. 31 e 111 Ermengarda viene definita , aggettivo al quale fa da contrappunto (v. 103) riferito alla sventura; al v. 51 è indicata come , aggettivo ripreso ai vv. 89-90 nel sintagma . improvida provida la tenera la tenera / tua spoglia La struttura tripartita  >> pagina 304  Le scelte stilistiche In passato gli interpreti hanno a lungo dibattuto sull’identità della voce che parla nel coro. A parlare sono le suore del convento bresciano di San Salvatore che accudiscono Ermengarda? Oppure è il poeta in prima persona? Si tratta, in realtà, di un falso dilemma: se sul piano drammatico, quello dell’azione scenica in senso stretto, a parlare possono essere le monache, su un piano poetico più profondo non c’è dubbio che Manzoni sovrapponga la propria voce a quella delle donne, interloquendo intimamente con la sventurata Ermengarda. Il poeta esprime così i propri sentimenti di pietà e di compassione, innalzando il dramma terreno della donna a un livello trascendente, nell’ambito, cioè, di una riflessione sulla fede religiosa e sul significato che essa può conferire all’esito estremo di una vita umana tanto travagliata. Il problema della voce parlante Come in tutti i testi lirici manzoniani di maggior impegno morale e religioso, anche qui il tono è alto e solenne. Per esempio, spesso gli aggettivi sono anteposti ai sostantivi e molte volte collocati in posizione rilevata (alla fine del verso) tramite gli , che peraltro dilatano in un ritmo solenne la cadenza ritmata dei settenari: (vv. 13-14); (vv. 15-16); (vv. 19-20); (v. 25); (v. 30); (vv. 33-34); (vv. 67-68); (vv. 71-72); (vv. 79-80); (vv. 103-104); (v. 107). Ancora, in numerosi casi – attraverso l’artificio dell’inversione sintattica – il verbo è posto alla fine della frase ( , v. 36; , v. 96) e il complemento oggetto viene collocato prima del predicato ( , v. 21; , v. 71; , vv. 81-82; l , vv. 83-84; , vv. 89-90; , vv. 113-114). enjambement ansia / mente candido / pensier immobile / ... fato insonni tenebre irrevocati dì vivide / aure empia / virtù d’amor placidi / gaudii tenue / obblio provida / sventura incolpate ceneri invidiata uscì trafitti impallidir sempre un obblio di chiedere il cor diverte l’anima / impaurita assale e sviate immagini / richiama al noto duol la tenera / tua spoglia ricoprir lievi pensier virginei / solo pingea A impreziosire il dettato, al quale l’autore vuole evidentemente conferire movenze classicheggianti, sono da notare gli accusativi alla greca (già segnalati in nota) e i numerosi chiasmi nelle coppie aggettivo-sostantivo: (vv. 1-2); (vv. 25-26); (vv. 62-63). Il lessico, poi, è ricco di latinismi: (v. 3), (v. 37), (v. 39), come aggettivo (vv. 13 e 85), (v. 26), (v. 46), (v. 47), (v. 57), (v. 63), (v. 71), (v. 97), (v. 107). trecce morbide [...] affannoso petto insonni tenebre [...] claustri solitari erba inaridita [...] arsi calami lenta aereo discorrere ansia claustri redir tentati triboli orrida calami diverte rea progenie incolpate ceneri L’elevatezza dell’eloquio Verso le COMPETENZE COMPRENDERE 1 Perché al v. 36 Ermengarda viene detta invidiata ? 2 Qual è l’ altro amor di cui si parla al v. 72? 3 Quali sono le sviate immagini del v. 83? 4 Perché le vergini del v. 93 sono state indarno fidanzate (v. 94)? ANALIZZARE 5 Il testo è articolato su tre piani temporali (passato, presente e futuro): evidenzia i tre momenti nelle diverse parti del testo. 6 Rintraccia nel coro ed elenca tutti gli aggettivi impiegati dal poeta in riferimento a Ermengarda. Quale immagine del personaggio ne scaturisce? 7 Individua nel testo almeno altri due esempi di chiasmo nelle coppie aggettivo-sostantivo oltre a quelli già segnalati nel nostro commento. 8 Quale figura retorica troviamo ai vv. 23-24 ( e al Dio dei santi ascendere / santa del suo patir )?  Un chiasmo. a  Un poliptoto. b  Una metonimia. c  Un parallelismo. d 9 Al v. 91 il verbo dormono è utilizzato per  metafora.  a  eufemismo. b  sineddoche. c   similitudine. d  >> pagina 305  INTERPRETARE 10 Come possiamo spiegare l’immagine finale del coro (quella del sole che al tramonto squarcia le nuvole)? Quale può essere il suo valore simbolico? COMPETENZE LINGUISTICHE  Individua nel testo almeno cinque esempi di participio con valore verbale e trasformali nella corrispondente subordinata. Segui l’esempio. 11 (v. 28)  altari dove sono state innalzate preghiere di supplica supplicati altari ▶ Produrre  Ha scritto Riccardo Bacchelli: «La morte d’Ermengarda, drammaticamente un episodio, anzi un fuor d’opera, fa sbiadire il regio furore di Desiderio contro papa Adriano, la missione imperiale e sacra di Carlo, l’eroismo di Adelchi, grande, ma più elegiaco che drammatico». Commenta questo giudizio critico e spiega in che senso esso può essere più o meno condiviso. 12 Scrivere per argomentare. T7 La morte di Adelchi , atto V, scene 8-10 Adelchi Endecasillabi sciolti. A causa del tradimento dei duchi longobardi, Pavia, capitale del regno, è caduta e il re Desiderio è stato fatto prigioniero. Suo figlio, il principe Adelchi, dopo la battaglia alle Chiuse, si è rifugiato a Verona. Dopo aver pensato inizialmente di suicidarsi, prende la decisione di raggiungere Bisanzio, capitale dell’Impero romano d’Oriente, per chiedere aiuto all’imperatore. Ma nel tentativo di sottrarsi alla prigionia, Adelchi si incontra con una schiera di Franchi, cade ed è ferito a morte. Portato nella tenda di re Carlo, ritrova il padre Desiderio, che assiste addolorato e impotente agli ultimi momenti di vita del figlio. Metro La   di un  fine vinto Scena ottava Carlo, Desiderio, Adelchi, ferito e portato desiderio Ahi, figlio! adelchi                    O padre, io ti rivedo! Appressa; tocca la mano del tuo figlio. desiderio                        Orrendo m’è il vederti così. adelchi                     Molti sul campo cadder così per la mia mano. desiderio Ahi, dunque 325                          insanabile, o caro, è questa piaga? adelchi Insanabile. desiderio                         Ahi lasso! ahi guerra atroce! Io crudel che la volli; io che t’uccido! adelchi Non tu, né questi, ma il Signor d’entrambi. desiderio Oh desiato da quest’occhi, oh quanto 330 lunge da te soffersi! Ed un pensiero fra tante ambasce mi reggea, la speme di narrartele un giorno, in una fida ora di pace. adelchi                    Ora per me di pace, credilo, o padre, è giunta; ah! pur che vinto 335 te dal dolor quaggiù non lasci. desiderio                        Oh fronte balda e serena! oh man gagliarda! oh ciglio che spiravi il terror! adelchi                    Cessa i lamenti, cessa o padre, per Dio! Non era questo il tempo di morir? Ma tu, che preso 340 vivrai, vissuto nella reggia, ascolta. Gran segreto è la vita, e nol comprende che l’ora estrema. Ti fu tolto un regno: deh! nol pianger; mel credi. Allor che a questa ora tu stesso appresserai, giocondi 345 si schiereranno al tuo pensier dinanzi gli anni in cui re non sarai stato, in cui né una lagrima pur notata in cielo fia contro te, né il nome tuo saravvi con l’imprecar de’ tribolati asceso. 350 Godi che re non sei; godi che chiusa all’oprar t’è ogni via: loco a gentile, ad innocente opra non v’è: non resta che far torto, o patirlo. Una feroce forza il mondo possiede, e fa nomarsi 355 dritto: la man degli avi insanguinata seminò l’ingiustizia; i padri l’hanno coltivata col sangue; e omai la terra altra messe non dà. Reggere iniqui dolce non è; tu l’hai provato: e fosse; 360 non dee finir così? Questo felice, cui la mia morte fa più fermo il soglio, cui tutto arride, tutto plaude e serve, questo è un uom che morrà. desiderio                        Ma ch’io ti perdo, figlio, di ciò chi mi consola? adelchi Il Dio 365                      che di tutto consola. ( ) si volge a Carlo                                 E tu superbo nemico mio... carlo                Con questo nome, Adelchi, più non chiamarmi; il fui: ma con le tombe empia e villana è nimistà; né tale, credilo, in cor cape di Carlo. adelchi E amico 370                      il mio parlar sarà, supplice, e schivo d’ogni ricordo ad ambo amaro, e a questo per cui ti prego, e la morente mano ripongo nella tua. Che tanta preda tu lasci in libertà... questo io non chiedo... 375 ché vano, il veggo, il mio pregar saria, vano il pregar d’ogni mortale. Immoto è il senno tuo; né a questo segno arriva il tuo perdon. Quel che negar non puoi senza esser crudo, io ti domando. Mite, 380 quant’esser può, scevra d’insulto sia la prigionia di questo antico, e quale la imploreresti al padre tuo, se il cielo al dolor di lasciarlo in forza altrui ti destinava. Il venerabil capo 385 d’ogni oltraggio difendi: i forti contro i caduti, son molti; e la crudele vista ei non deve sopportar d’alcuno che vassallo il tradì. carlo                 Porta all’avello questa lieta certezza: Adelchi, il cielo 390 testimonio mi sia; la tua preghiera è parola di Carlo. adelchi                    Il tuo nemico prega per te, morendo. avvicinati. Appressa: 321 in battaglia. sul campo: 324 re Carlo. questi: 329 desiderato. desiato: 330 lontano. lunge: 331 angosce. reggea: sosteneva. speme: speranza. ambasce: 332 serena. fida: 332 sguardo. ciglio: 337 incutevi. spiravi: 337 prigioniero. preso: 340 dopo essere sempre vissuto da re (mentre d’ora in poi dovrà vivere da prigioniero). vissuto nella reggia: 341 e lo si comprende soltanto in punto di morte. e nol comprende... estrema: 342-343 non rimpiangerlo, non lamentarne la perdita. mel credi: credi a me (letteralmente “credilo a me”). nol pianger: 344 felici. giocondi: 345 in cielo non sarà ( ) imputata ( ) contro di te neppure una lacrima (versata a causa tua) né il tuo nome vi sarà salito con le imprecazioni delle persone da te oppresse ( ). né una lagrima... asceso: 348-350 fia notata de’ tribolati che ti è impedita ogni possibilità di azione. che chiusa... ogni via: 351-352 non c’è spazio (sulla terra) per azioni nobili e innocenti. loco... non v’è: 352-353 gli avi sono qui, in senso stretto, gli antichi Longobardi che hanno fondato le proprie conquiste sulla violenza, ma anche, in un senso più ampio, gli antenati tutti dell’uomo. Il periodo che ha inizio con queste parole assume così il valore di una massima dal significato universale. la man degli avi: 356 si fa chiamare “diritto”. fa nomarsi dritto: 355-356 governare persone malvage (come i duchi che l’hanno tradito). Reggere iniqui: 359 e se anche fosse piacevole (è sottinteso l’aggettivo del v. 60), non dovrebbe terminare con la morte? e fosse... così: 360-361 dolce Carlo, ora vittorioso. Questo felice: 361 rende più stabile il trono. fa più fermo il soglio: 362 del fatto che io ti perdo. ch’io ti perdo: 364 lo sono stato. il fui: 368 ma l’odio verso i morti è empio e indegno. Il concetto era già nel motto latino (risparmia i morti, abbi pietà per i morti). ma con le tombe... nimistà: 368-369 parce sepultis alberga. cape: 369 privo. schivo: 371 spiacevole. a questo: a Desiderio. amaro: 372 un prigioniero così importante. tanta preda: 374 inutile. vano: 376 la tua decisione è irrevocabile. Immoto è il senno tuo: 377-378 crudele. crudo: 380 priva di offese, di umiliazioni. «Bellissimo questo rivelarsi del sentimento filiale, pur nel momento del trapasso. Adelchi, che finora ha parlato da una lontananza altissima, non rinnega tuttavia la sua umanità» (Russo). scevra d’insulto: 381 vecchio. antico: 382 se il cielo ti avesse destinato a lasciarlo in potere di altri. se il cielo... destinava: 383-385 ed egli non deve dover sopportare la penosa vista di qualcuno che da vassallo lo tradì. e la crudele... il tradì: 387-389 tomba. avello: 389 Scena nona arvino , carlo, desiderio, adelchi * arvino Impazienti, 395                     invitto re, chiedon guerrieri e duchi d’esser ammessi. adelchi                    Carlo! carlo                  Alcun non osi avvicinarsi a questa tenda. Adelchi è signor qui. Solo d’Adelchi il padre, e il pio ministro del perdon divino han qui l’accesso. (parte con Arvino) conte franco. * Arvino: sono i maggiorenti longobardi, pronti a rendere omaggio al loro nuovo re. Ieri come oggi, tutti sono sempre smaniosi – come si dice – di saltare sul carro del vincitore. guerrieri e duchi: 395 il sacerdote che, amministrandogli gli ultimi sacramenti, riconcilierà Adelchi morente con Dio. il pio ministro... divino: 398 Scena decima desiderio, adelchi desiderio                         Ahi, mio diletto! adelchi                     O padre, fugge la luce da quest’occhi. desiderio Adelchi, 400                          no, non lasciarmi! adelchi                     O Re de’ re tradito da un tuo Fedel, dagli altri abbandonato!... vengo alla pace tua: l’anima stanca accogli. desiderio                        Ei t’ode: oh ciel! tu manchi! ed io... in servitude a piangerti rimango. 405 o Gesù Cristo, tradito da un tuo seguace (Giuda) e abbandonato da tutti gli altri. O Re... abbandonato: 401-402 in schiavitù. in servitude: 405  >> pagina 309  Dentro il TESTO I contenuti tematici Siamo alle battute finali della tragedia. Adelchi, ormai vicino alla morte, sente tutto il peso delle conseguenze del proprio agire politico-militare ( , vv. 323-324) e contempla come dall’alto le vicende terrene, avendo finalmente compreso che ogni fatto umano è dominato dal volere di Dio: non è stato Desiderio – dice – a volere la guerra contro Carlo, bensì il (v. 329), Colui che è infinitamente superiore a ogni potestà di questo mondo. Molti sul campo / cadder così per la mia mano Signor d’entrambi La visione della Storia espressa da Adelchi nel suo primo monologo è cupa e pessimistica: (vv. 352-354). Per questo, Desiderio si deve rallegrare di aver perso il potere: (vv. 351-352). Se non è possibile agire correttamente, meglio allora non poter agire affatto. Poiché il potere si basa sull’ingiustizia e sulla violenza, la sconfitta è provvidenziale in quanto essa libera il potente dalla responsabilità delle sue azioni: così, la perdita del potere corrisponde al recupero dell’innocenza morale. loco a gentile, / ad innocente opra non v’è: non resta / che far torto, o patirlo Godi che re non sei, godi che chiusa / all’oprar t’è ogni via La visione pessimistica della Storia  >> pagina 310  All’altezza cronologica della composizione della tragedia, la religione non è ancora vista da Manzoni come impulso a un’azione nella società (come sarà poi nei ), bensì quasi una sorta di privilegio spirituale, tutto individuale e interiore, di alcune anime elette. I personaggi dell’ sono divisi tra i campioni della forza, della politica e della ragion di stato da una parte e, dall’altra, gli spiriti toccati dalla Grazia. Tra queste due tipologie umane non può esservi né confronto né scontro, poiché esse parlano linguaggi diversi: la pace a cui aspira Desiderio (la dei vv. 333-334) è la tranquillità terrena, mentre la pace a cui allude Adelchi ( , vv. 334-335) è la pace ultraterrena, quella che si consegue soltanto nella piena comunione con Dio. Promessi sposi Adelchi fida / ora di pace Ora per me di pace, credilo, o padre, è giunta Il cristianesimo manzoniano qui è inattivo, impotente, sconsolato, ancora lontano da quello combattivo e militante, per le gioie del cielo ma anche per l’affermazione della giustizia sulla terra, incarnato, nei , da personaggi come fra’ Cristoforo, il cardinal Federigo o anche la stessa Lucia. Manca ancora, insomma, quella fede nel valore dell’agire, quella fiducia nella possibilità degli uomini di collaborare al disegno provvidenziale, quella speranza di un riscatto che costituiranno la sostanza morale più profonda del romanzo, con il suo riconoscimento positivo dell’agire terreno: la Storia, allora, non sarà più considerata il regno irredimibile del male, bensì svelerà la possibilità di riconoscervi un preciso significato. Promessi sposi Una concezione religiosa in evoluzione Le scelte stilistiche Nelle ultime scene della tragedia, lo stile è particolarmente solenne, come si conviene alla conclusione di una vicenda tanto drammatica: alla conclusione Manzoni attribuisce infatti la funzione di proporre in maniera chiara il messaggio che intende trasmettere. Diversi sono però i timbri delle voci che si alternano sulla scena. L’eloquio di Adelchi – il cui ruolo è anche qui, più che mai, quello del protagonista – si distingue per il tono accorato e sentenzioso, caratterizzato da frasi brevi ed essenziali ( , vv. 342-343; , vv. 354-356). Le esclamazioni di Desiderio ( , vv. 327-328; , vv. 330-331, ecc.) attingono invece alla sfera del patetico, esprimendo il disperato dolore di un padre di fronte alla morte del figlio. Appare invece retoricamente e freddamente impostata la voce di Carlo ( , vv. 391-392; , vv. 396-397), il quale si presenta come il pio condottiero «sempre un poco convenzionale e accademico nella sua pietà» (Gianni): la pietà in lui non è mai disgiunta dalla ragion di stato, che la bilancia e ne limita la portata. Gran segreto è la vita, e nol comprende / che l’ora estrema Una feroce / forza il mondo possiede, e fa nomarsi / dritto Ahi lasso! ahi guerra atroce! / Io crudel che la volli; io che t’uccido! Oh desiato da quest’occhi, oh quanto / lunge da te soffersi! la tua preghiera / è parola di Carlo Adelchi / è signor qui La solennità di un finale a più voci Verso le COMPETENZE COMPRENDERE 1 Aiutandoti con le note, fai la parafrasi del primo monologo di Adelchi (vv. 338-364) e poi sintetizza in poche righe la sua concezione del potere. 2 Perché al v. 328 Desiderio accusa sé stesso di essere colpevole della morte del figlio? 3 Per quale ragione Adelchi afferma che con la propria morte il soglio di Carlo sarà più fermo (v. 362)? 4 Che cosa chiede Adelchi a Carlo? ANALIZZARE 5 Individua nel testo altri esempi del tono patetico di Desiderio (oltre a quelli già segnalati nel commento). 6 Quale figura retorica riconosci ai vv. 356-359 ( la man degli avi... altra messe non dà )? Spiegane il significato.  >> pagina 310  INTERPRETARE Quali potrebbero essere i ricordi penosi sia per Adelchi sia per Carlo, a cui il primo allude ai vv. 370-372 ( )? 7 E amico... ad ambo amaro 8 Nel narrare la morte di Adelchi, Manzoni non si è attenuto alla verità storica. Infatti, nella realtà, Adelchi riuscì a raggiungere Bisanzio e morì vari anni più tardi nel tentativo, al comando di truppe greche, di muovere guerra ai Franchi in Italia. Perché, a tuo avviso, questa discrepanza nel racconto manzoniano? Produrre  Metti a confronto la morte di Adelchi con quella di Ermengarda, evidenziando analogie e differenze tra questi due momenti della tragedia in un testo di circa 30 righe. 9 Scrivere per confrontare.  Adelchi – con l’animo teso a nobili imprese, ma condannato a compierne di inique – può essere visto come un tipico eroe romantico, nel dramma (che egli incarna) di una frattura insanabile tra ideale e reale, tra aspirazioni e concretezza della vita. Argomenta questa tesi in un testo di circa 40 righe. 10 Scrivere per argomentare. T8 Il cinque maggio Odi 18 strofe di 6 settenari, disposti secondo lo schema SASAST (dove S indica i versi sdruccioli, T i versi tronchi). L’ode viene scritta di getto nel luglio del 1821, alla notizia della morte di Napoleone, che circolava accompagnata da voci di una sua conversione all’ultimo momento. Profondamente colpito, Manzoni compone in pochi giorni questa “orazione funebre”, in cui ricapitola la vicenda umana dell’imperatore, sublime dimostrazione del carattere precario delle glorie umane, al cospetto di una prospettiva eterna. La censura austriaca ne proibisce la stampa, ma l’ode si diffonde ampiamente tramite copie manoscritte, riscuotendo ammirazione e consensi. Nel 1822 Goethe la traduce in tedesco. L’anno successivo viene pubblicata a Torino. Metro e  di un imperatore Grandezza  miseria  Parafrasi Ei fu. Siccome immobile, dato il mortal sospiro, stette la spoglia immemore orba di tanto spiro, così percossa, attonita 5       la terra al nunzio sta, La decisione del poeta di cantare Napoleone  Napoleone è morto. Come ( ) il suo corpo ( ), dopo avere esalato l’ultimo respiro ( ) rimase immobile ( ), senza memoria ( ) e privato ( ) di uno spirito tanto grande, così il mondo all’annuncio ( ) della sua morte si ferma ( ), 1-6 Siccome spoglia sospiro stette immemore orbo nunzio sta egli (per antonomasia Napoleone). Ei: 1 muta pensando all’ultima ora dell’uom fatale; né sa quando una simile orma di piè mortale 10     la sua cruenta polvere a calpestar verrà.  colpito, attonito, silenzioso, pensando all’ultima ora dell’uomo che ha deciso tanti destini ( ); e si chiede quando mai l’orma di un individuo altrettanto grande tornerà a calpestare la terra insanguinata dalle guerre (   ). 7-12 fatale cruenta polvere voluto dal fato, cioè – cristianamente – dalla Provvidenza. fatale: 8 alcuni commentatori hanno fatto notare che le “orme” non calpestano la terra; il poeta è però preoccupato di evocare la visione delle marce di Napoleone e far quasi sentire lo scalpitare del suo cavallo sulla polvere dei campi di battaglia. orma… verrà: 10-12 Lui folgorante in solio vide il mio genio, e tacque; quando, con vece assidua, 15     cadde, risorse e giacque, di mille voci al sonito mista la sua non ha:  La mia ispirazione poetica ( ) lo vide trionfante sul trono imperiale ( ), ma non si espresse ( ); e quando con alterne vicende ( ) cadde, si riprese e di nuovo cadde definitivamente, non ha mescolato la sua voce al suono ( ) di mille altre: 13-18 genio folgorante in solio e tacque vece assidua sonito complemento oggetto di vide (v. 14), con una forte inversione sintattica. Evidente è il richiamo, anche per l’antonomasia, dell’ iniziale. Lui: 13 Ei richiama l’espressione foscoliana «con veci eterne» ( , v. 96). vece assidua: 15 Dei Sepolcri il verso rias­sume le vicende che nel giro di due anni (1813-1815) decretarono il tramonto di Napoleone, passato dalla sconfitta di Lipsia all’esilio all’Elba, dai Cento giorni all’esilio definitivo a Sant’Elena, dopo la battaglia di Waterloo. cadde, risorse e giacque: 16 vergin di servo encomio e di codardo oltraggio, 20     sorge or commosso al subito sparir di tanto raggio: e scioglie all’urna un cantico che forse non morrà.  immune ( ) da elogi servili e insulti vigliacchi, all’improvvisa sparizione di una luce così gloriosa ( ) si leva commossa: e sulla sua tomba innalza ( ) un canto solenne che forse resterà nel tempo. 19-24 vergin subito sparir di tanto raggio scioglie all’urna è il motivo già foscoliano della poesia che si eleva sulla tomba dei forti. scioglie all’urna un cantico: 23 Dall’alpe alle piramidi, 25     dal Manzanarre al Reno, di quel securo il fulmine tenea dietro al baleno; scoppiò da Scilla al Tanai, dall’uno all’altro mar. 30     Trionfi e sconfitte di Napoleone  Dalle Alpi alle piramidi, dal Manzanares al Reno, le azioni fulminee di quell’uomo deciso ( ) seguivano immediatamente i suoi piani ( ); imperversò dallo stretto di Messina ( ) al Don ( ), da un mare all’altro. 25-30 quel securo tenea Scilla Tanai l’autore allude, nell’ordine, alle campagne napoleoniche in Italia, Egitto, Spagna, Germania. Il fiume Manzanares scorre nei pressi di Madrid. Dall’alpe… Reno: 25-26 il toponimo calabrese rimanda agli scontri nell’Italia meridionale; , ovvero il Don, alla spedizione in Russia. da Scilla al Tanai: 29 Scilla Tanai riecheggia il v. 8 della , allora incompiuta. dall’uno all’altro mar: 30 Pentecoste Fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza: nui chiniam la fronte al Massimo fattor, che volle in lui del creator suo spirito 35     più vasta orma stampar.  Fu gloria autentica? Ai posteri il difficile giudizio ( ): noi pieghiamo il capo ( ) dinanzi a Dio ( ) che ha voluto imprimere ( ) in quell’uomo un segno così grande del suo potere ( ). 31-36 ardua sentenza nui chiniam la fronte Massimo fattor stampar più vasta orma arcaismo (“noi”), dovuto a esigenze di rima. Anche qui, come negli , Manzoni ricorre al plurale. nui: 32 Inni sacri La procellosa e trepida gioia d’un gran disegno, l’ansia d’un cor che indocile serve, pensando al regno, 40     e il giunge, e tiene un premio ch’era follia sperar;  La gioia tempestosa ( ) e trepidante di un grande progetto, l’ansia di un cuore che, sia pure controvoglia ( ), deve obbedire ( ), pensando alla conquista del potere, e lo raggiunge, e anzi ottiene un premio che sarebbe stato folle sperare; 37-42 procellosa indocile serve Manzoni si riferisce al periodo in cui Napoleone serviva nelle armate della Repubblica francese, prima del colpo di Stato del 18 brumaio (novembre 1799). cor… regno: 39-40 tutto ei provò: la gloria maggior dopo il periglio, la fuga e la vittoria, 45     la reggia e il tristo esiglio; due volte nella polvere, due volte in sull’altar.  egli provò tutto: provò la gloria, aumentata dai pericoli corsi ( ), la fuga e la vittoria, il potere e l’amarezza dell’esilio; due volte nella polvere, due volte sul trono. 43-48 maggior dopo il periglio due volte sul trono, prima della sconfitta a Lipsia (1813) e durante i Cento giorni (1815). due volte in sull’altar: 48 Ei si nomò: due secoli, l’un contro l’altro armato, 50     sommessi a lui si volsero, come aspettando il fato; ei fe’ silenzio, ed arbitro s’assise in mezzo a lor.  Egli pronunciò il proprio nome: due secoli, in guerra tra loro, a lui si volsero sottomessi ( ), come aspettando la decisione sul proprio destino ( ); egli impose il silenzio, e si sedette tra loro in posizione di giudice. 49-54 sommessi fato è come se Napoleone, presentandosi sulla scena del mondo, pronunciasse il proprio nome per affermare sé stesso e i propri progetti. Ei si nomò: 49 il Settecento e l’Ottocento, che rispettivamente con la Rivoluzione francese e la successiva Restaurazione furono portatori di visioni del mondo differenti e opposte. due secoli… armato: 49-50 E sparve, e i dì nell’ozio 55     chiuse in sì breve sponda, segno d’immensa invidia, e di pietà profonda, d’inestinguibil odio e d’indomato amor. 60     L’amarezza dell’esilio e la consolazione della fede  E scomparve, e terminò i suoi giorni nell’ozio di un’isola così piccola ( ), oggetto di enorme invidia e di profonda pietà, di odio inestinguibile e di amore indomito. 55-60 sì breve sponda alla solennità che caratterizza l’apertura della strofa precedente si contrappone la dolorosa mestizia di un verbo che traduce efficacemente la riflessione manzoniana sulla caducità delle vicende umane. E sparve: 55 cioè a Sant’Elena, nell’Oceano Atlantico meridionale. in sì breve sponda: 56 Come sul capo al naufrago l’onda s’avvolve e pesa; l’onda su cui del misero, alta pur dianzi e tesa scorrea la vista a scernere 65     prode remote invan;  Come l’onda turbina ( ) e grava ( ) sul capo del naufrago, quell’onda sulla quale sino a poco prima ( ) lo sguardo del misero scorreva, invano proteso a riconoscere lontani approdi ( ); 61-66 s’avvolve pesa pur dianzi scernere prode remote tal su quell’alma il cumulo delle memorie scese: oh quante volte ai posteri narrar se stesso imprese, 70     e sull’eterne pagine cadde la stanca man!  così il peso dei ricordi scese su quell’anima: oh quante volte cominciò ( ) a raccontare le proprie imprese ( ) ai posteri, e sulle pagine interminabili la mano stanca cadde! 67-72 imprese se stesso in esilio Napoleone fu tentato più volte di scrivere un’autobiografia, ma vi rinunciò nello scoprire l’inadeguatezza delle proprie forze. Con Manzoni riprende un’espressione dell’ ( , VI, 33). oh quante volte… stanca man!: 69-72 cadde la stanca man Eneide cecidere manus Oh quante volte, al tacito morir d’un giorno inerte, chinati i rai fulminei, 75     le braccia al sen conserte, stette, e dei dì che furono l’assalse il sovvenir!  Oh quante volte, al silenzioso tramonto  ) di un giorno ozioso, abbassato lo sguardo ( ) fulmineo, rimase immobile ( ), con le braccia conserte, e lo assalì il ricordo dei giorni andati! 73-78 (tacito morir rai stette l’anafora (come al v. 69) introduce il tema della vanità del ricordo. Oh quante volte: 73 letteralmente, “raggi”, cioè gli occhi. rai: 75 E ripensò le mobili tende, e i percossi valli, 80     e il lampo dei manipoli, e l’onda dei cavalli, e il concitato imperio, e il celere obbedir.  E ripensò allo spostarsi degli accampamenti ( ), alle fortificazioni colpite ( ), alle incursioni dei drappelli ( ), all’incalzare ( ) della cavalleria, ai suoi ordini ( ) concitati subito eseguiti ( ). 79-84 mobili tende percossi valli lampo dei manipoli onda imperio celere obbedir Ah! forse a tanto strazio 85     cadde lo spirto anelo, e disperò; ma valida venne una man dal cielo, e in più spirabil aere pietosa il trasportò; 90      Ahi! Forse l’animo spossato ( ) crollò per lo strazio di questi ricordi, e si abbandonò alla disperazione; ma venne dal cielo una mano forte ( ), che pietosa lo trasportò in un’aria più serena ( ); 85-90 spirto anelo valida in più spirabil aere e l’avviò sui floridi sentier della speranza, ai campi eterni, al premio che i desideri avanza, ove è silenzio e tenebre 95     la gloria che passò.  e lo guidò ( ) sui felici sentieri della speranza verso il cielo ( ), verso il premio che è superiore ( ) a qualunque desiderio, là dove la gloria terrena diventa silenzio e tenebre. 91-96 avviò campi eterni avanza reminiscenza classica dei campi Elisi. campi eterni: 93 nella dimensione dell’eterno non giunge immagine né rumore della gloria terrena. ove… passò: 95-96 Bella Immortal! benefica Fede ai trionfi avvezza! Scrivi ancor questo, allegrati; che più superba altezza 100 al disonor del Golgota giammai non si chinò.  O Fede benefica, bella e immortale, abituata ai trionfi! Aggiungi anche ( ) questo, e gioisci; perché mai potenza più superba si è inchinata alla croce di Cristo ( ). 97-102 ancor al disonor del Golgota alla santa umiliazione della Croce. Golgota è il Calvario, monte di Gerusalemme, dove Cristo subì il supplizio. al disonor del Golgota: 101 Tu dalle stanche ceneri sperdi ogni ria parola: il Dio che atterra e suscita, 105 che affanna e che consola, sulla deserta coltrice accanto a lui posò.  Tu allontana ( ) dagli stanchi resti di Napoleone ogni parola malvagia ( ): il Dio che può abbattere e rialzare, far patire e consolare, si è posto accanto a lui, sul solitario letto di morte ( ). 103-108 sperdi ria deserta coltrice Vincenzo Vela, , 1860 ca. Gli ultimi giorni di Napoleone  >> pagina 315  Analisi ATTIVA I contenuti tematici è divisibile in tre parti. La prima inscena lo sbigottimento che coglie il mondo alla notizia della morte di Napoleone; commosso, il poeta decide di rompere il rigoroso riserbo al quale sino ad allora si era attenuto (vv. 1-24). A differenza degli altri grandi letterati del suo tempo (come Vincenzo Monti, Carlo Porta, Ugo Foscolo), Manzoni non aveva mai celebrato le imprese dell’imperatore quando questi era in vita. Né intende farlo ora: se nella seconda parte ne ripercorre la sfolgorante carriera, i trionfi e le disfatte (vv. 25-54), maggiore spazio è riservato nella terza ai giorni amari dell’esilio sull’isola di Sant’Elena, sigillati dal decisivo intervento della Grazia, in punto di morte (vv. 55-108). Siamo dinanzi a una «provvida sventura» simile a quella di Ermengarda chiusa in convento, o del conte di Carmagnola imprigionato. Anche Napoleone si trova a vivere un’esperienza di reclusione, che scatena l’onda insostenibile dei ricordi. La fede, infine, gli consente di affrontare la morte placato, trasformando le sue vicende terrene nella più istruttiva delle parabole. Il cinque maggio  Che cosa si augura l’autore per il proprio   (v. 23)? 1 cantico  La seconda parte dell’ode, quella dedicata alla vicenda di Napoleone, può essere ulteriormente suddivisa: come? 2 La struttura dell’ode Operando con vigorosa determinazione nel mondo, senza evitare il ricorso a ingiustizie e violenze, da oscuro ufficiale nato in una provincia remota, la Corsica, Napoleone diventa imperatore dei francesi. Signore degli eserciti, giudice dei secoli (v. 50), (v. 8) che da solo si dà il nome, sollevandosi al di sopra della massa anonima degli uomini, raggiunge un premio (v. 42) e pretende di decidere l’avvenire del mondo. l’un contro l’altro armato uom fatale ch’era follia sperar Più che ricordare Ulisse o Alessandro Magno, egli incarna dunque il prototipo dell’uomo moderno, l’eroe romantico che cerca di costruirsi da solo il destino. In questa prospettiva non stupisce come la pietà e l’ammirazione di Manzoni nascano non al cospetto dei trionfi, ma nel momento esatto in cui Napoleone mette da parte la superbia con cui aveva cercato di sostituirsi a Dio e si trova a riconoscerne la suprema grandezza.  Ricostruisci le tappe principali della vicenda di Napoleone menzionate nel testo, eventualmente aiutandoti con una mappa. 3  Una delle caratteristiche di Napoleone è la rapidità: individua nel testo tutti i termini e le espressioni che vi si riferiscono. 4 Napoleone: il prototipo dell’uomo moderno Ancora una volta Manzoni riconosce nella sconfitta l’opportunità di dimostrare un eroismo ben diverso dal modello titanico di stampo romantico, nonché l’unico mezzo per giungere alla salvezza eterna. L’esistenza di Napoleone, che finisce i suoi giorni su uno scoglio in mezzo all’Atlantico dopo avere imperversato (vv. 25-26), è ai suoi occhi un’altissima dimostrazione della divina onnipotenza. I posteri pronunceranno (v. 32) sulla gloria terrena dell’imperatore, ma questa conta infinitamente meno del giudizio di Dio, a cui spetta l’unica vera gloria: le imprese umane, anche le più ardite, viste dalla prospettiva dell’eternità si riducono a polvere. Animato da questa convinzione, Manzoni conclude con una vibrante apostrofe alla Fede, che avvicina l’ode a un inno sacro, composto, questa volta, non in occasione di una festa liturgica, ma per interpretare a maggior lode di Dio la morte di un grande protagonista della Storia. dall’alpe alle piramidi, / dal Manzanarre al Reno l’ardua sentenza Il cinque maggio  Nella terza parte dell’ode, alla rapidità dell’azione si sostituisce la staticità: perché? Individua termini ed espressioni ad essa riferiti. 5  Attraverso quali passaggi viene descritta la crisi umana e spirituale di Napoleone? 6 La vera gloria  >> pagina 316  Le scelte stilistiche L’ode è caratterizzata da uno stile solenne sin dall’attacco, divenuto proverbiale, che riduce a due monosillabi la più straordinaria delle vite: (v. 1). Anche in seguito l’insistenza sul passato remoto contribuisce a fissare in una dimensione di compiutezza la rievocazione delle imprese di Napoleone, il cui nome non viene mai pronunciato. Ei fu A innalzare il discorso contribuiscono l’uso pregnante degli aggettivi, che spesso ricorrono prima del verbo, in posizione rilevata ( , vv. 87-88; , v. 90), i latinismi ( ecc.) e il fitto tessuto di figure retoriche, tra le quali è opportuno segnalare almeno le due estese similitudini (vv. 1-8; vv. 61-68), le anastrofi, gli iperbati, la metafora tesa a sottolineare la rapidità d’azione di Bonaparte ( , vv. 27-28). valida venne pietosa il trasportò nunzio, solio, coltrice, securo di quel securo il fulmine / tenea dietro al baleno Allo scopo di sottolineare il vorticoso turbine degli accadimenti è frequente il ricorso all’antitesi (per esempio , vv. 47-48; , vv. 59-60). Per contrasto, ai due estremi dell’ode Manzoni delinea una situazione di stasi, evocando la salma immobile del condottiero, alla quale nella conclusione si accosta Dio. due volte nella polvere, / due volte in sull’altar d’inestinguibil odio / e d’indomato amor  Individua nel testo almeno altri tre esempi di antitesi. 7  In quali punti del testo, e perché, viene usato il presente? 8  Altri due grandi artisti e intellettuali sono rimasti affascinati dalla figura di Napoleone, il musicista Ludwig van Beethoven e il filosofo Georg Wilhelm Friedrich Hegel. Svolgi una ricerca sul rapporto tra Napoleone e queste due personalità e illustra i risultati in un testo espositivo di circa 40 righe. 9 Scrivere per esporre. Una forma tradizionale Jacques-Louis David, , 1801. Malmaison, Musée National du Château. Napoleone Bonaparte supera le Alpi al passo del Gran San Bernardo