Un cane passa per la strada con un armadio sulla groppa. È la sua cuccia, cosa ci volete fare. Se la porta sempre dietro, come fa la chiocciola con il suo guscio. Il seguito . L’armadio del cane mi sembra, più che altro, un’idea per architetti, designers, arredatori di lusso. È fatto per contenere il cappottino del cane, la serie delle museruole e dei guinzagli, le pantofole antigelo, il salvacoda con nappine, gli ossi di gomma, i gatti finti, la guida della città (per andare a prendere il latte, il giornale e le sigarette al padrone). Non ho idea che contenga anche una storia. Il cane nell’armadio, a occhio e croce, è più invitante. Il dottor Polifemo rincasa, apre l’armadio per prendere la giacca da camera e vi trova un cane. Siamo subito sfidati a escogitare una spiegazione di quell’apparizione. Ma la spiegazione si può rimandare. È più interessante, per il momento, analizzare da vicino la situazione. Il cane è di razza indefinibile. Forse è un cane da tartufi, forse un cane da ciclamini. Da rododendri. Ben disposto verso il prossimo, scodinzola affettuosamente, porge la zampa con bel modo, ma di uscire dall’armadio non ne vuole sapere, per quanto il dottor Polifemo lo implori. Poi il dottor Polifemo va a fare la doccia e trova un altro cane nell’armadietto del bagno. Ce n’è uno anche nello sportello delle pentole in cucina, uno nella lavastoviglie, uno in frigorifero, mezzo congelato. C’è un barboncino nel ripostiglio delle scope, un chihuahua nel cassetto della scrivania. Il dottor Polifemo potrebbe, a questo punto, chiamare il portiere per farsi aiutare a respingere gli invasori, ma non è questo che gli comanda il suo cuore di cinofilo. Egli corre, invece, dal macellaio ad acquistare dieci chili di filetto per nutrire i suoi ospiti. Ogni giorno, da quel giorno, egli compra dieci chili di carne. E così dà nell’occhio. Il macellaio si mette in sospetto. Si fanno chiacchiere. Nascono maldicenze. Dilagano calunnie. Quel dottor Polifemo lì non avrà in casa delle spie atomiche? Non farà esperimenti diabolici con tutti quei girelli e controfiletti? Il povero dottore perde la clientela. Giungono soffiate alla polizia. Il questore ordina una perquisizione in casa sua. E così si scopre che il dottor Polifemo ha sopportato innocente tante perquisizioni per amor dei cani. Eccetera. La storia, a questo stadio, è soltanto “materia prima”. Lavorarla a prodotto finito sarebbe compito da scrittore. Ma qui interessava solo esemplificare l’uso di un “binomio fantastico”. Il nonsenso può restare tale. Si tratta di una tecnica che i bambini riescono benissimo ad applicare, con non poco divertimento, come io stesso ho avuto modo di constatare in tante scuole d’Italia. L’esercizio, beninteso, ha una sua reale importanza, ma non vanno trascurati i suoi effetti d’allegria. Nelle nostre scuole, generalmente parlando, si ride troppo poco. L’idea che l’educazione della mente debba essere una cosa tetra è tra le più difficili da combattere. Ne sapeva qualcosa Giacomo Leopardi quando scriveva nel suo , alla data del 1° agosto 1823: “La più bella e fortunata età dell’uomo, ch’è la fanciullezza, è tormentata in mille modi, con mille angustie, timori, fatiche dall’educazione e dall’istruzione, tanto che l’uomo adulto, anche in mezzo all’infelicità, non accetterebbe di tornar fanciullo colla condizione di soffrire quello stesso che nella fanciullezza ho sofferto”. G. Rodari, , Einaudi ragazzi, Torino 1980, pp. 20-23 1. ad libitum 2. 3. Zibaldone La grammatica della fantasia Nel brano Rodari presenta il “binomio fantastico” come un metodo creativo semplice e utilizzabile da chiunque per cimentarsi con la costruzione di un racconto in diverse versioni. Prova anche tu a creare un binomio fantastico con lo stesso metodo, ovvero scegliendo due parole che non possiedono alcun legame tra loro. Rodari sottolinea come tutti siano in grado di formulare pensieri creativi e fantasiosi, anche con stimoli minimi. A partire dal binomio fantastico che hai creato prova a inventare e scrivere una storia. a. b.