3. La psicologia del Novecento 3.1 IL FUNZIONALISMO: A CHE COSA SERVE LA PSICOLOGIA? Tra i motivi che portarono all’abbandono dell’approccio strutturalista vi fu anche la grande risonanza che cominciava ad avere la (1809-1882), non solo sulla biologia ma anche sulle altre discipline. Negli Stati Uniti nacque così il , conosciuto anche come , grazie alle opere di fine Ottocento di William James (1842-1910) e di John Dewey (1859-1952). I due studiosi, sulla scia della teoria evoluzionistica di Darwin, ipotizzarono che il dovesse essere considerato come un . Sulla base di questa nuova prospettiva, secondo la quale i processi mentali aiutavano di fatto l’organismo a sopravvivere, il nucleo centrale della ricerca psicologica passò dall’attenzione alla struttura dei processi mentali (“che cosa sono e come sono”, finalità propria dello strutturalismo) allo studio delle loro (“a che cosa servono”, interrogativo principale del funzionalismo). I ricercatori funzionalisti aumentarono la gamma dei processi mentali che erano stati studiati in precedenza dagli strutturalisti, occupandosi anche di , ma sempre seguendo un’ottica evoluzionista, che considerava cioè il comportamento umano come adattivo all’ambiente. Questo legame tra comportamento e condizioni ambientali, portato avanti dal funzionalismo, sposta la psicologia dallo studio delle funzioni mentali all’ . È in questo clima che nasce il comportamentismo a opera di John B. Watson. teoria dell’evoluzione di Charles Darwin funzionalismo Scuola di Chicago comportamento umano processo di adattamento dell’organismo all’ambiente funzioni motivazione, pensiero e apprendimento indagine del comportamento Frontespizio della prima edizione dell’opera di Charles Darwin *Sull’origine delle specie*, 1859. 3.2 COMPORTAMENTISMO E NEOCOMPORTAMENTISMO La nascita del risale al , quando | Vedi , p. 10 | pubblicò un articolo ( , “La psicologia così come la vede un comportamentista”) in cui sosteneva che la psicologia, per diventare veramente una scienza sperimentale, avrebbe dovuto concentrarsi su un oggetto di studio che potesse essere osservato in maniera intersoggettiva, cioè in ogni individuo, da tutti gli studiosi interessati. Tale oggetto di studi era il , che, come tale, era a occhio nudo e, in tal modo, poteva essere . Quello che Watson definì come “comportamento” non era altro che l’ . In esso non troviamo né i processi organici, specialmente quelli cerebrali, né i processi interni della mente, in particolar modo la coscienza. Ciò porta alla visione della ( ), il cui . Essa avverte le influenze dell’ambiente esterno (gli stimoli o input) e produce le relative reazioni (le risposte o output), elementi che invece possono essere studiati. Secondo questo approccio, l’organismo viene visto come una tra stimoli in entrata e risposte in uscita. Per questo motivo, il comportamentismo è stato definito anche come una “psicologia stimolo-risposta”. La chiarezza della teoria e la semplicità del modello teorico hanno contribuito a rendere il comportamentismo dominante sulla scena della ricerca psicologica in campo sperimentale e applicativo a lungo, fino agli anni Sessanta-Settanta del Novecento. Grazie anche ai contributi di Pavlov con gli studi sul condizionamento classico e di Skinner sul condizionamento operante | Vedi , pp. 172, 177 |, questa teoria si è diffusa non solo nel mondo scientifico ma anche nell’opinione pubblica, come un modo concreto di fare psicologia, attento sia agli effetti sia alle cause. comportamentismo 1913 John Broadus Watson L’AUTORE Psychology as the behaviorist views it comportamento manifesto osservabile da tutti descritto e giudicato insieme delle risposte muscolari e ghiandolari di un individuo a un determinato fenomeno psiche come una scatola nera black box funzionamento non è osservabile né conoscibile stazione intermedia unità 7