TRA TIRANNIDE E DEMOCRAZIA
Dalla metà dell’VIII secolo a.C. circa, un ulteriore movimento di colonizzazione greca si rivolge verso il Mediterraneo occidentale, in particolare in Italia meridionale e in Sicilia. La diffusione delle colonie procede secondo un preciso criterio di scelta dei luoghi in cui fondare le nuove città, rigorosamente in prossimità della linea costiera (2). Queste aree diventano così una vera e propria appendice del territorio greco (da qui il termine utilizzato per definire l’Italia meridionale Megále Hellás, Magna Grecia), tanto da presentare abitudini culturali, artistiche e architettoniche, nonché sistemi di governo, analoghi alle città della Grecia continentale e della costa ionica (vedi EDUCAZIONE CIVICA, p. 214).
A partire dal VII secolo a.C., nella madrepatria come nelle colonie si diffonde la tirannide, un sistema di governo che presuppone la presenza di un “sovrano” e dei membri della sua famiglia come unici “signori” della città, nelle cui mani si concentra il potere sia civile sia militare. Il tiranno funge da mediatore tra il popolo e l’aristocrazia, ovvero la classe dominante, favorendo in particolare le classi sociali medie, come commercianti e artigiani. Tra le tirannidi più note si ricordano quella di Polìcrate nell’Isola di Samo, che con la sua ricchezza finanzia l’immenso Tempio di Hera (vedi p. 122), e quella di Pisistrato ad Atene, che avvia un primo sviluppo monumentale della città.
Proprio l’Atene successiva al governo di Pisistrato è il luogo di un progresso governativo epocale: nel 510 a.C., la tirannide viene abbattuta e si assiste alla nascita della prima democrazia del mondo occidentale. Questa inedita forma di governo vede come protagonista principale il legislatore Clistene, il quale attraverso una complessa riforma allarga il potere delle due principali assemblee ateniesi: la boulé, costituita da 500 membri nobili delle tribù di Atene, e l’ecclesía, ovvero l’assemblea del popolo che vota le proposte della boulé.
