AL CUORE DELL’ARTE
Dalla fine dell’VIII secolo a.C., il centro principale di produzione ceramica diviene la città di Corinto, nel Peloponneso, cui si deve la realizzazione di nuovi motivi decorativi con elementi floreali, animali ed esseri fantastici, ispirati all’arte del Vicino Oriente e perciò detti orientalizzanti. Le ceramiche sono caratterizzate da una maggiore qualità esecutiva, una superiore cura del dettaglio e un’accentuazione dei contrasti cromatici tra il colore chiaro dell’argilla e quelli della pittura. Col tempo si perfeziona anche la riproduzione della figura umana, legata a rappresentazioni di eventi mitici o scene che rispecchiano la società aristocratica e guerriera del tempo. Anche nella scultura è evidente la centralità dell’uomo e della donna nell’arte greca, seppure le figure appaiano rappresentate ancora in maniera rigida, senza particolare distinzione delle parti del corpo, in aderenza ai modelli orientali.
Corinto e la sua ceramica
I vasi prodotti a Corinto hanno un enorme successo in tutto il Mediterraneo anche grazie al nevralgico ruolo commerciale della città, dotata di due porti. Plinio il Vecchio, autore romano che scrive nel I secolo d.C. un’opera enciclopedica chiamata Naturalis Historia, riferisce come siano stati proprio gli artigiani di Corinto a inventare la ruota del tornio (11), notizia che evidenzia l’importanza riconosciuta alla produzione di ceramica corinzia già nell’antichità.
Lo stile locale del periodo chiamato “protocorinzio” rappresenta una vera e propria evoluzione rispetto al geometrico, per la novità sia delle forme vascolari sia delle composizioni e dei soggetti decorativi. I vasi sono solitamente di piccole dimensioni, con pareti di spessore sottile e realizzati con un’argilla molto depurata. Le superfici sono divise in fasce orizzontali e accolgono scene figurate con uomini, animali e creature fantastiche, dipinti per lo più con vernici rosse, brune e nere.

Arýballos Macmillan
Un esempio dei tipici piccoli contenitori ceramici corinzi è costituito dall’Arýballos Macmillan (12), dal nome del collezionista che nel 1889 donò l’opera al British Museum di Londra. L’arýballos (dal greco arýo – attingere), datato intorno al 640 a.C. e alto soltanto 6,8 cm, era utilizzato come unguentario per conservare oli profumati.
La parte superiore è a forma di testa di leone, modellata a mano e non a stampo, con le fauci spalancate che fungono da bocca del vaso. La criniera serve da ansa, mentre il corpo è scandito da tre fasce: la più alta, che sottolinea la parte di massima espansione del vaso, presenta diciassette opliti, soldati di fanteria con armatura, lancia e scudo (da qui il nome, dal greco óplon – scudo). Le decorazioni degli scudi, che rappresentano animali e creature fantastiche, hanno una funzione distintiva per ogni soldato oltre che quella apotropaica di allontanare gli influssi maligni. Le due fasce inferiori, di minore dimensione, sono decorate con una corsa di cavalli e una caccia alla lepre, attività caratteristiche dei giovani aristocratici.
Il minuscolo unguentario, riprodotto sotto a grandezza reale, testimonia l’abilità dei ceramografi nel dipingere in spazi anche molto piccoli, con ricchezza di particolari.

