Skopas
(Paros 417-340 a.C. ca.)
(Paros 417-340 a.C. ca.)
Gli studi sul movimento e sulla resa dei sentimenti avviati da Prassitele trovano compimento nelle opere di Skopas, architetto e scultore originario di Paros, isola delle Cicladi. La capacità principale di questo artista è quella di coinvolgere lo spettatore nello spazio delle sue creazioni attraverso un accentuato utilizzo del movimento e delle torsioni. Mediante una nuova resa dei volti, le sue opere sono in grado di suscitare forti emozioni, tanto da meritarsi l’appellativo di “maestro del páthos”, parola intesa come intensità drammatica e potenza espressiva, anticipando spunti figurativi che saranno approfonditi nell’arte ellenistica.
Le principali caratteristiche dell’attività artistica di Skopas sono espresse nella cosiddetta Menade danzante (122) (340 a.C. ca.), la cui copia romana più conosciuta è conservata al Museo di Dresda. La scultura rappresenta una menade, ovvero una sacerdotessa di Dioniso, forse nell’atto di uccidere un animale che tiene con la mano sinistra, mentre con la destra brandisce un pugnale.
L’estasi dionisiaca, risultato dell’ebbrezza di cui Dioniso era il dio, si unisce alla selvatica movenza e alla sensualità conferita dal movimento della veste che lascia nudo metà del ventre e il fianco sinistro. L’aderenza del panneggio e la morbidezza del corpo mostrano ancora un’ispirazione ai modelli fidiaci, nonostante il personaggio scelto ben si presti alle novità introdotte da Skopas, in cui la torsione innaturale adavvitamento del corpo e l’espressività del volto determinano un forte coinvolgimento emotivo. La testa è riversa all’indietro con una brusca rotazione, assecondando la danza estatica, mentre la bocca semiaperta e gli occhi fortemente incavati nelle arcate orbitali accentuano l’intensità dell’espressione piena di páthos.
Intorno al 345 a.C. Skopas viene scelto come architetto e scultore per la ricostruzione del Tempio di Atena Aléa a Tegea, in Arcadia, dove probabilmente si occupa anche della decorazione frontonale. Il frontone occidentale illustra la lotta tra Achille e Telefo, figlio di Eracle, forse identificabile nella testa (123) rinvenuta durante gli scavi del tempio. L’eroe, qui rappresentato con la leonté (pelle del leone) del padre, volge violentemente la testa verso sinistra e presenta i lineamenti del volto ravvicinati. La bocca dischiusa, lo sguardo rivolto verso l’alto e le orbite profondamente incavate accentuano la drammaticità dell’opera ed esaltano quel páthos che diventerà caratteristico dell’arte ellenistica.