Pittura e mosaici della corte macedone


AL CUORE DELL’ARTE

Le conquiste degli artisti greci nella resa della profondità e nella collocazione della figura umana nello spazio trovano compimento nelle poche testimonianze giunte sino a noi della pittura, l’espressione artistica meno conosciuta dell’arte greca.
Le pitture del IV secolo a.C. delle tombe macedoni restituiscono una delle forme d’arte più apprezzate dagli antichi, in cui emergono precise rappresentazioni prospettiche e un generale senso di movimento delle figure.
Un’eco della grande pittura scomparsa è offerta anche dai mosaici, prodotti artistici di differente natura, ma che ci trasmettono i riflessi di quella eccezionale tecnica pittorica capace di rendere, attraverso un uso sapiente del colore, una vera e propria imitazione della natura.


Pitture macedoni

Se Lisippo era l’unico scultore a poter ritrarre Alessandro Magno, in pittura questo privilegio era riservato ad Apelle, pittore di cui parla anche Plinio il Vecchio celebrando «i progressi che egli da solo fece fare alla pittura, maggiori di quelli introdotti da tutti gli altri assieme». Le parole dell’autore latino confermano l’alto livello raggiunto dalla pittura greca nell’epoca di Alessandro Magno, conosciuta in parte grazie agli affreschi conservati nelle tombe macedoni di Verghìna (antica Aigai) nell’attuale regione della Macedonia in Grecia, scoperte nel 1977. Il grande tumulo accoglieva una serie di tombe destinate ai membri della famiglia reale, una di queste forse dello stesso Filippo II, padre di Alessandro.

Ratto di Persefone

Tra i vari resti pittorici spicca un affresco che rappresenta il Ratto di Persefone (131), attribuito alla scuola di un altro grande pittore dell’epoca, Nicòmaco, citato da Plinio come autore di un dipinto dello stesso soggetto.
L’affresco, che decorava l’interno di una tomba, rappresenta l’episodio mitico in cui il dio degli inferi Ade, aiutato da Hermes, rapisce Persefone, figlia di Demetra, dea dell’agricoltura e delle stagioni. Il dipinto coglie il momento più drammatico del mito, in cui Ade, alla guida del carro in corsa, trattiene violentemente con il braccio sinistro il corpo di Persefone, che invece si sporge dal carro allungando le braccia verso la madre, accovacciata e disperata in basso a destra; davanti al carro si intravede la figura di Hermes in corsa che accresce il movimento della scena.
L’energico dinamismo delle figure rappresentate, percepibile in particolare dalla veste violetta e dai capelli biondi di Persefone mossi dal vento, si combina con una magistrale resa della profondità spaziale, frutto di una progettazione meticolosa e precisa dell’opera. Nonostante, infatti, i tratti del pennello appaiano rapidi e correnti, si riconosce un utilizzo sapiente delle linee e del colore, le cui sfumature, come nel caso della veste di Persefone, del braccio destro di Ade e del ventre del cavallo in primo piano, restituiscono maggiore profondità prospettica all’intera composizione. Questo effetto è accresciuto dal carro, raffigurato obliquo e di tre quarti, tanto da far apparire le ruote di forma ovale.

Nicòmaco (attribuito), Ratto di Persefone. Affresco con scene sbiadite, raffigurante Ade su un carro trainato da cavalli mentre rapisce Persefone. Ade, con capelli ricci e mantello svolazzante, guida il carro con le redini in mano. Persefone, in abiti leggeri, appare nel momento in cui viene trascinata via. Sulla sinistra, un uomo (Hermes) scappa, mentre sulla destra una figura femminile inginocchiata a terra guarda spaventata la scena. I colori, ormai attenuati, lasciano intravedere il movimento e il dramma dell'episodio mitologico.
131. Nicòmaco (attribuito), Ratto di Persefone, particolare, 340 a.C. ca., affresco. Salonicco, Museo Archeologico.