1912 / Giacomo Balla
Dalle botteghe degli scultori dell’antica Grecia, l’idea di rappresentare il movimento del corpo umano arriverà agli atelier degli artisti futuristi, convinti che l’arte dovesse ormai rompere con il passato, rigettando tutto ciò che vi apparteneva, e sviluppare parole, suoni e immagini che – come suggerisce il nome del gruppo – fossero rivolti al futuro. «Ammirare un quadro antico equivale a versare la nostra sensibilità in un’urna funeraria, invece di proiettarla lontano, in violenti getti di creazione e di azione» spiegava il poeta Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944) nel suo Manifesto del Futurismo, pubblicato il 20 febbraio 1909 nella prima pagina del quotidiano “Le Figaro”.
Artisti come Giacomo Balla, Gino Severini, Umberto Boccioni, Carlo Carrà e Luigi Russolo desideravano dar voce alla civiltà dell’industria e delle macchine, vivere a pieno la vita moderna delle metropoli e celebrare la tecnologia e la velocità come forze specifiche del nuovo secolo. Ai loro occhi, un’automobile da corsa lanciata a tutto gas era molto più affascinante di una scultura greco-romana!
Quando, nell’estate del 1912, dalla porta socchiusa dello studio, Giacomo Balla vide sua figlia Luce scorrazzare lungo il balcone di casa in via Parioli a Roma, decise di immortalarne la corsa proprio perché la considerava in linea con il ritmo accelerato della vita moderna. Era una buona occasione per riflettere sulla rappresentazione della velocità, già indagata in opere come Dinamismo di un cane al guinzaglio, dedicata al movimento vorticoso della coda e delle gambe dell’animale, e La mano del violinista, in cui il pittore analizza i guizzi delle dita di una mano sulle corde di un violino.