Il restauro di reperti storico-artistici è una disciplina tecnico-scientifica che richiede conoscenze sia teoriche sia pratiche. Proprio per le qualità dei materiali con cui sono state realizzate, oltre che per lo stato di conservazione, le opere necessitano di strumenti e tecniche diversi e spesso della collaborazione di figure professionali specializzate. I restauri, appunto, «non sono tutti uguali!».
UNA DISCIPLINA CHE CAMBIA NEL TEMPO
«Per restauro si intende l’intervento diretto sul bene attraverso un complesso di operazioni finalizzate all’integrità materiale e al recupero del bene medesimo, alla protezione e trasmissione dei suoi valori culturali».
L’articolo 29 comma 4 del Codice dei beni culturali e del paesaggio ci fornisce la definizione giuridica in Italia di restauro.
La prima normativa di legge risale al 1932 con la pubblicazione della Carta italiana del Restauro, ma in realtà le pratiche conservative esistevano già nel periodo rinascimentale e sono andate evolvendosi fino ai giorni nostri.
Oggi la manutenzione, il recupero o il ripristino di un’opera, anche secondo la descrizione che ne fa il Ministero della Cultura, si muovono su tre linee di pensiero fondamentali.
1) Il restauro critico
Il restauro critico affonda le sue radici nel pensiero di Cesare Brandi (1906-1988), uno storico e critico d’arte che ha ispirato, con i suoi testi sulla teoria del restauro, gran parte della legislazione corrente. Questa tipologia di intervento propone di conservare la possibilità di lettura dell’opera mantenendo le stratificazioni storiche presenti su di essa. Per questo tipo di restauro, quindi, non è importante solo l’opera in sé ma anche come sia cambiata nel tempo: per esempio è fondamentale conservare memoria dei restauri susseguitisi negli anni, anche se hanno comportato un’alterazione dell’opera d’arte.
2) Il restauro di ripristino
Questa tipologia di restauro è quella che nel tempo è stata progressivamente abbandonata in seguito a vari provvedimenti della legislazione italiana, poiché prevede interventi sull’opera spesso molto invasivi, con ricostruzioni integrative di parti mancanti. Questo modo di operare risale all’Ottocento: se una statua era rinvenuta nello scavo archeologico priva di testa, spesso ai restauratori veniva richiesto di ricrearla anche in assenza di informazioni su come fosse in origine. Il rischio di questa pratica è quello di alterare completamente l’aspetto originario dell’opera.
3) Il restauro conservativo
È questa la tipologia di restauro in uso nel nostro Paese, secondo le attuali normative. Si basa sui princìpi del restauro critico: ha infatti lo scopo di conservare ogni aspetto del manufatto garantendo la sopravvivenza di tutte le stratificazioni presenti, che testimoniano il tempo e la sua azione. L’idea di fondo è quindi quella di restaurare l’esistente, limitandosi ad arrestare i processi di deterioramento dell’opera, senza alterarla né ricostruirne parti mancanti.

LIFE SKILLS – VERSO L’ORIENTAMENTO
PENSIERO CREATIVO
Un restauro di fantasia
Immagina di dover lavorare a un restauro di ripristino: seleziona l’immagine di una scultura antica mutila di alcune parti e ricrea le parti mancanti a tuo piacimento; puoi utilizzare una tavoletta grafica o integrare la statua stampandone la sua foto.