• vi sono dei fatti, degli eventi, delle situazioni, che si possono definire in modo non ambiguo come “disastri naturali”, e tale definizione è assunta come evidente e non viene problematizzata;
  • si può parlare di “natura” come un dato completamente oggettivo, cioè il concetto di natura può essere formulato in modo del tutto indipendente dalle comunità umane e dai processi di antropizzazione;
  • basta ricorrere semplicemente al “caso” per spiegare le connessioni fra eventi (ritenuti appunto “casuali”) in molti disastri, attribuendo loro un ristretto margine di conoscibilità.

Vedremo proprio nell’esempio del grande terremoto nel Sud-Est asiatico quanto queste idee siano sbagliate e pericolose in termini di comprensione e prevenzione di un disastro naturale.
Lo scienziato olandese Paul Crutzen (1933-2021), premio Nobel per la chimica nel 1995, ha introdotto la definizione di Antropocene per il periodo geologico apertosi con la Rivoluzione
industriale della seconda metà del Settecento. Per Crutzen la civiltà umana non è più in balia di forze naturali di tale intensità da plasmare la storia geologica del pianeta, poiché l’umanità stessa, con il vertiginoso progresso tecnologico degli ultimi due secoli, è diventata ormai una forza di portata geologica: «[...] l’Antropocene è l’unica epoca geologica in cui la natura non è una forza esterna che domina sul destino degli uomini: siamo noi, al contrario, a determinare i suoi equilibri».

2.3 LE PRECONDIZIONI DEL DISASTRO

L’antropologia mette in discussione il concetto stesso di calamità naturale, se per calamità naturale intendiamo un evento esclusivamente naturale e del tutto indipendente dalle forme di antropizzazione dell’ambiente. Le calamità naturali in quanto tali non esistono: esistono piuttosto il naturale divenire di un pianeta attivo e la nostra incapacità di tenerne conto. I disastri non sono eventi repentini e imprevedibili dovuti esclusivamente a bizzarrie climatiche, oppure alla casualità o a tragici errori umani. Sono processi complessi che si attivano gradualmente durante un lungo periodo di incubazione e che alla fine precipitano in una situazione catastrofica. Interpretare il disastro in modo dinamico, come un fenomeno che si sviluppa nel corso del tempo, significa considerare che il disastro ha sempre delle precondizioni: sono le precondizioni sociali, tecnologiche, politiche, economiche i fattori da cui parte l’incubazione di un disastro.
Nel caso specifico dello tsunami che ha sconvolto il Sud-Est asiatico nel 2004 possiamo individuare almeno tre importanti precondizioni.

Un paesaggio vulcanico mozzafiato con un vulcano in eruzione sullo sfondo, che emette una densa nube di fumo bianco verso il cielo azzurro. In primo piano, un altro vulcano e altri rilievi vulcanici, illuminati dalla luce calda del sole, evidenziano dettagli delle pareti striate e delle forme caratteristiche. La valle sottostante è arida e deserta, creando un contrasto con le tonalità vivaci dei vulcani e del cielo.
Secondo l’antropologia, i disastri naturali, come le eruzioni vulcaniche e i terremoti, non sono eventi ineluttabili, davanti ai quali l’uomo non può nulla, ma derivano da processi lunghi e complessi in cui anche l’intervento umano sull’ambiente può essere un fattore scatenante.