PAROLA D’AUTORE

T1 Émile Durkheim

Cosa sono i fatti sociali

Le regole del metodo sociologico si colloca tra i libri più importanti di Durkheim. Si tratta di un testo in cui lo studioso francese enuncia alcuni degli aspetti che caratterizzano l’analisi dei fenomeni collettivi come “fatti sociali”. All’inizio del libro l’autore sintetizza cosa significa per lui studiare i “fatti sociali” e cosa caratterizza questi oggetti privilegiati della sociologia.

Le regole del metodo sociologico, Sansoni, Milano 1970, pp. 33-35

Prima di vedere qual è il metodo funzionale allo studio dei fatti sociali, è importante comprendere quali tipi di fatti ricadono sotto questo nome. La questione è tanto più importante quanto più ci si serve di questa definizione senza troppa precisione. La si usa correntemente per designare presso a poco tutti i fenomeni che si verificano all’interno della società, per poco che essi presentino, con una certa generalità, un qualche interesse sociale. Ma, da questo punto di vista, non ci sono avvenimenti, per dir così, umani che non possano dirsi anche sociali. Ogni individuo beve, dorme, mangia, ragiona; e la società ha tutto l’interesse che queste funzioni si svolgano regolarmente. Se dunque tutti questi fatti fossero sociali, la sociologia non avrebbe un oggetto proprio ed il suo dominio si confonderebbe con quello della biologia e della psicologia.
Ma in realtà c’è, in ogni società, un gruppo determinato di fenomeni che si distinguono per caratteri spiccatamente diversi da quelli che studiano le altre scienze della natura. Quando assolvo il mio compito di fratello, di sposo, o di cittadino, quando rispetto gli obblighi che ho assunto, compio dei doveri che sono definiti, al di fuori di me e dei miei atti, nel diritto e nei costumi. Anche se essi sono in sintonia con i miei sentimenti e ne sento interiormente la realtà, questa non cessa di essere oggettiva, perché non sono io che li ho creati, ma li ho ricevuti attraverso l’educazione. [...]
Allo stesso modo, le credenze e le pratiche della sua vita religiosa, il fedele le ha trovate bell’e fatte nascendo; e, se esistono prima di lui, vuole dire esistono fuori di lui. Il sistema di segni di cui mi servo per esprimere il mio pensiero, il sistema monetario che uso per pagare i miei debiti, gli strumenti di credito che utilizzo nelle mie relazioni commerciali, le pratiche seguite nella mia professione ecc. funzionano indipendentemente dall’uso che ne faccio io. [...] Ecco, dunque, alcuni modi di agire, di pensare e di sentire, che presentano questa fondamentale caratteristica, che esistono al di fuori delle coscienze individuali.
Questi tipi di condotta e di pensiero non solo sono esteriori all’individuo, ma sono altresì dotati di un potere imperativo e coercitivo, in virtù del quale, voglia o non voglia, si impongono all’individuo. Indubbiamente, quando spontaneamente mi conformo a questi tipi di agire, questa coercizione non è più così evidente, essendo in questo caso inutile. Ma non per questo essa smette di costituire un carattere intrinseco di questi fatti. La prova è che questa coercizione si afferma quando tento di resistere.
Se tento di violare le regole del diritto, esse reagiscono contro di me in modo tale da impedire il mio atto, se ce n’è ancora la possibilità, o di annullarlo o di ristabilirlo sotto forma normale, se è compiuto e riparabile, o di farmelo espiare, se non può essere altrimenti riparato. Si tratta di massime puramente morali? La coscienza pubblica contiene ogni atto che possa offenderle, con la sorveglianza esercitata sulla condotta dei cittadini e le pene speciali di cui dispone. In altri casi, la costrizione è meno violenta, ma non cessa di esistere. Se non mi sottometto alle convenzioni civili, se, vestendomi, non tengo alcun conto degli usi seguiti nel mio paese e nella mia classe, il riso che provoco, la distanza in cui mi si tiene, producono i medesimi effetti che una punizione vera e propria, sebbene in una maniera più attenuata.