La moda, come dicevo, è un prodotto della separazione tra le classi […]. Così la moda significa da un lato coesione dei pari grado, unità di una cerchia sociale che si caratterizza per mezzo suo, e dall’altro chiusura di questo gruppo nei confronti di coloro che stanno più in basso e vengono caratterizzati come non appartenenti a esso. Connettere e distinguere sono le due funzioni fondamentali che qui si congiungono inseparabilmente: ognuna di esse, sebbene o in quanto costituisca l’opposizione logica dell’altra, è la condizione della sua realizzazione.
La prova più lampante che la moda sia un semplice prodotto di necessità sociali o anche psicologico-formali ci vien data dal fatto che le sue forme non hanno quasi mai una ragione rispondente a finalità pratiche, estetiche o di altra natura. In generale, i nostri vestiti si adeguano alle nostre necessità pratiche, ma nelle decisioni con cui la moda stabilisce che le gonne debbono essere larghe o strette, i capelli lunghi o corti, le cravatte nere o colorate non vi è alcuna traccia di un’utilità pratica. Talvolta vanno di moda cose talmente brutte e ripugnanti che la moda sembra voler dimostrare il suo potere facendoci indossare quanto vi è di più detestabile: proprio la casualità con cui una volta essa impone l’utile, un’altra l’astruso, una terza ciò che è indifferente da un punto di vista pratico ed estetico, mostra la sua completa noncuranza verso le norme oggettive della vita e rimanda ad altre motivazioni, cioè a quelle tipicamente sociali, dato che sono le uniche a rimanere. […]
Si hanno varie notizie dal tempo passato di come un capriccio o la particolare esigenza di singole personalità abbiano fatto nascere una moda: le calzature medievali con la punta all’insù nacquero dal desiderio di un nobile signore che voleva trovare una scarpa adeguata all’escrescenza del suo piede, il «guardinfante» (l’intelaiatura che dà forma ai vestiti femminili) ebbe origine dal desiderio di occultare la gravidanza di una di quelle donne che danno il tono alla società, ecc.
In contrasto con tale origine personale, ai nostri giorni anche l’ideazione della moda viene integrata sempre di più nell’organizzazione oggettiva del lavoro tipica dell’economia moderna. Un articolo che poi diventa di moda non compare solo sporadicamente: al contrario si producono degli articoli perché diventino di moda. In certi periodi si avanza a priori la richiesta di una nuova moda: vi sono creatori e industrie che lavorano esclusivamente in questo settore. La relazione tra astrattezza in generale e organizzazione sociale oggettiva si rivela nell’indifferenza con cui la moda, in quanto forma, guarda al significato dei suoi contenuti particolari, e nel suo passaggio sempre più deciso a una struttura economica che produce su scala sociale. Che la sovraindividualità della sua intima natura comprenda anche i suoi contenuti, è provato in maniera decisiva dal fatto che la creazione di moda è una professione pagata, un «incarico» nelle grandi imprese che è così differenziato dai gusti personali, come una funzione oggettiva si differenzia in genere dal soggetto che la compie. Certo, la moda può accogliere occasionalmente dei contenuti giustificati sul piano pratico, ma opera in quanto moda solo quando l’indipendenza da ogni altra motivazione si fa effettivamente sensibile […].
Per questo motivo la tirannia della moda è del tutto insopportabile in quei campi in cui debbono valere solo decisioni oggettive: la religiosità, gli interessi scientifici, persino il socialismo e l’individualismo sono diventati delle cose alla moda: ma i motivi per cui questi contenuti di vita debbono essere adottati sono in assoluto contrasto con la perfetta mancanza di oggettività che domina negli sviluppi della moda e con quel fascino estetico che la distacca dal significato contenutistico delle cose, fascino che essendo del tutto fuori posto quale momento di queste decisioni ultime, vi imprime un tratto di frivolezza.