TESTO NARRATIVO

Volevo essere una farfalla

Nel romanzo Volevo essere una farfalla. Come l’anoressia mi ha insegnato a vivere la filosofa e scrittrice Michela Marzano racconta la sua storia di vita, intrecciata a quella del suo disturbo alimentare.

È tutta colpa della “birra rossa”. Sì, proprio così. Perché se fossi stata una semplice “birra chiara” tutto sarebbe stato più semplice.
O forse solo diverso. Ma io ero “rossa”. Non rossa di capelli. I miei capelli sono scuri. Quasi neri, come quelli di mamma. Io sono rossa dentro…
“Nel mondo ci sono due categorie di persone. Le birre chiare e le birre rosse. Tu sei una rossa. Non puoi farci nulla.”
Era Marco a dirmelo. Il mio primo amore. Lui se n’era accorto quando ero ancora una bambina. Perché sapeva leggermi dentro. E aveva capito che dietro i “perché” con cui assillavo tutti c’era la voglia di cambiare il mondo. C’era la rabbia e la fragilità di chi, dalla vita, aveva avuto tanto.
Anche se, in quel tanto, c’era anche tanto dolore.
“Intelligenza. Dolcezza. Cieli di tempesta.”
Anche Alessandro mi leggeva dentro… mi considerava una persona speciale… e voleva proteggermi dagli altri… Ma allora perché le mie storie d’amore sono sempre finite male?
Forse perché la tempesta, alla fine, ha travolto sempre tutto.
Me. L’altro. La normalità. Ma la quotidianità non è fatta per me.
Almeno in amore. Nel lavoro è diverso. Lì ho bisogno di ordine.
Come quando faccio lezione. O correggo una tesi. Ma per il resto è sempre bufera. Nel bene come nel male, non riesco a non essere eccessiva. Se c’è un termine che mi definisce veramente è “troppo”. Mi innamoro troppo. Mi appassiono troppo. Mi stanco troppo. Mi arrabbio troppo.
Allora sì, esagero. Come direbbe mio padre che ha sempre fatto del “salvare il salvabile” la massima della propria vita. Tranne quando si trattava dei figli. Perché con me e mio fratello, papà è sempre stato “troppo pesante”. “Peso”, “pesante”, “pesare”.
Per anni, ho fatto di tutto per diventare leggera come una farfalla. E ci sono quasi riuscita. In termini di chili, s’intende.
Perché per il resto, la vita è stata spesso “troppo pesante”. È stato pesante dover essere la più brava. È stato pesante cercare sempre di adattarmi alle aspettative altrui. È stato pesante dimenticare Alessandro, abbandonare il mio paese, fare del francese la mia lingua… Ma è stato soprattutto pesante ricominciare a vivere dopo essere precipitata “troppo in basso”. Nonostante fossi “rossa”. O forse proprio perché sono “rossa”.
E quando vivo qualcosa “mi ci butto a capofitto”, come diceva sempre mio padre quando ero piccola… […] Vincere il concorso1 era la cosa più importante. L’unico modo per andarmene di casa, ma anche l’unico modo per non diventare a mia volta una “fallita”. Mio padre era ossessionato dal “fallimento”. E per riuscire nella vita non c’erano duecentocinquantamila soluzioni. Dovevo essere la più brava. Dovevo smettere di innamorarmi del primo venuto.

1. concorso: l’autrice si riferisce al concorso per accedere alla Scuola Normale Superiore di Pisa, un istituto universitario a ordinamento speciale.