L’importanza del contesto

Nel seguente brano Francesca Fialdini, giornalista e conduttrice televisiva e radiofonica, sottolinea il ruolo del contesto familiare e sociale nello sviluppo e nella cura di un disturbo del comportamento alimentare. Il testo è tratto dalla prefazione al libro Il peso dell’amore. Capire i disturbi alimentari partendo da famiglia e scuola dello psichiatra Leonardo Mendolicchio.

Entrare nelle risposte dei pazienti ha significato per me addentrarmi in quelle del microcosmo relazionale di ciascuno di loro, per cercare di comprendere quali fossero state le reazioni della famiglia al loro disagio: da quelle dei genitori, in primis, fino ad arrivare alla cerchia di amici e a tutte le figure di riferimento importanti per la persona affetta da DCA. Fare questo passo significa iniziare a scalfire la mole di fraintendimenti culturali e convinzioni sociali con cui abbiamo prevalentemente affrontato questo fenomeno da un punto di vista mediatico e acquisire una nuova consapevolezza per fare il grande salto: ammettere che forse in famiglia abbiamo sbagliato qualcosa. Ovvero, riconoscere che forse – se mio figlio manifesta il sintomo, allora – tutta la famiglia è malata; che, per essere di aiuto concreto alla sua crescita e all’emancipazione dalle sue ossessioni, proprio io ho forse sbagliato qualcosa nel modo in cui gli ho trasmesso la mia relazione col corpo, il mio rapporto col cibo, il mio ideale di successo e di bellezza. O che, forse, il mio modello di successo semplicemente non è suo. Infatti qualunque sia il nostro ruolo nella società (quella stessa che ci propone in modo schizofrenico diete da seguire a seconda delle stagioni), siamo noi a poter fare la differenza nella costruzione di una rete affettiva solida su cui i soggetti affetti da disturbi del comportamento alimentare possono fare affidamento. A patto, però di non farli sentire costantemente giudicati, sotto esame, incompresi e di essere noi per primi disposti a spogliarci di tutte le nostre interpretazioni circa la cosa migliore da fare. Un genitore investito del suo ruolo può giustamente illudersi di essere l’unico al mondo in grado di sapere cosa sia bene per il proprio figlio o figlia fino a decidere di indirizzarne sogni, aspirazioni e futuro a prescindere da quali siano i loro reali desideri. Un allenatore può arrivare a esprimere osservazioni sul corpo fino a convincere i suoi giovani atleti che il successo o l’insuccesso di una prestazione dipenda tutto dal peso e dalla leggerezza del loro fisico, finendo per scatenare guerre inenarrabili con l’immagine di sé; e così via. […] Il finale più interessante, però, è che da disturbi psichiatrici di questo tipo si può guarire: otto volte su dieci si può felicemente tornare a una vita relazionale e affettiva adulta e matura. Da dove partire? […] Mendolicchio svuota il fardello del senso di colpa e alla luce dei casi seguiti negli anni arriva a dare preziosi consigli a tutti gli attori coinvolti nella manifestazione del sintomo, fino a dire ai genitori che mettersi in gioco è necessario, sentirsi colpevoli no. Accettare di commettere degli errori o di averne commessi, anche inconsapevolmente, nella trasmissione di modelli di felicita è il primo sufficiente passo per iniziare un percorso di cura di tutta la famiglia.

F. Fialdini, Prefazione a L. Mendolicchio, Il peso dell’amore. Capire i disturbi alimentari partendo da famiglia e scuola, Rizzoli, Milano 2021, pp. IV-VIII