LA VITA
È un poeta a noi noto soltanto per il testo Rosa fresca aulentissima (composto tra il 1231 e il 1250). Cielo (probabilmente diminutivo di Michele) d’Alcamo (o dal Camo) è il nome attribuito all’autore del testo da un filologo del Cinquecento, Angelo Colocci, in base a fonti a noi ignote. Comunque pare certo che fosse siciliano, visto che tale è da considerarsi la lingua del contrasto che Dante stesso, nel De vulgari eloquentia (I, 12, 6), cita come esempio di siciliano, ma non di siciliano “illustre”, bensì “umile”. Benché sia impossibile – se non in base al suo scritto – stabilirne la personalità, si tratta certamente di uno dei rappresentanti più significativi della poesia popolareggiante nell’ambito della Scuola siciliana, ed era molto probabilmente vicino alla Magna Curia di Federico II.
L'unico componimento a noi noto di Cielo d'Alcamo è il celebre Rosa fresca aulentissima.
LE OPERE
Rosa fresca aulentissima è un mimo, un dialogo realistico in forma di contrasto, tra l’amante che incalza e la donna che, prima sdegnosa, alla fine cede alle sue avances.
T8 Rosa fresca aulentissima
Cielo d’Alcamo
Il componimento è una sorta di botta e risposta tra un amante focoso e un’amata scaltramente ritrosa. All’inizio la conflittualità verbale è accesa (soprattutto da parte di lei), ma alla fine la donna cederà alle lusinghe dell’amato. Il testo si compone di 160 versi, dei quali riportiamo i primi 70.
/ Le schermaglie dell’amore /
METRO Strofe di 3 alessandrini (versi composti da 2 settenari, il primo dei quali è sempre sdrucciolo) e 2 endecasillabi (rime AAABB).
PARAFRASI e note
«Rosa fresca aulentissima, ca pari inver la state,
le donne ti disiano, pulzelle e maritate;
trajimi de ste focora, se t’este a bolontate:
per te non aio abento notte e dìa,
5 pensando pur di voi, madonna mia».
1-5 «Rosa fresca profumatissima (aulentissima), che appari verso l’estate, le donne ti desiderano, vergini (pulzelle) e maritate; toglimi da questi fuochi, se è tua volontà: per te non ho riposo (non aio abento) notte e giorno, pensando sempre (pur) a voi, mia signora».
«Se di meve trabagliti, follìa lo ti fa fare;
lo mar potresti arompere, avanti a semenare,
l’abere de sto secolo tutto quanto assembrare,
avèreme non pòteri a esto monno;
10 avanti li cavelli m’arritonno».
6-10 «Se ti tormenti per me (di meve trabagliti), la pazzia te lo fa fare; potresti solcare (arompere) il mare con l’aratro, prima (avanti) di seminare, ammassare (assembrare) tutte le ricchezze di questo mondo (secolo), non mi potresti avere in alcun modo (a esto monno); piuttosto (avanti) mi taglio i capelli».
7 lo mar… semenare: è un’immagine che indica una cosa impossibile da fare (arare il mare e seminarlo).
10 li cavelli m’arritonno: vale a dire “mi faccio monaca”. Quando si entrava in convento venivano tagliati i capelli, in segno di rinuncia al mondo.