«Quante sono le schiàntora che m’ài mise a lo core!
E solo purpenzànnome la dia quanno vo fore,
femmina de sto secolo tanto no amai ancore
quant’amo teve, rosa invidiata.
45 Ben credo che mi fosti distinata».

41-45 «Quanti sono gli affanni (schiàntora) che m’hai messo nel cuore! Anche soltanto riflettendo (purpenzànnome), di giorno, quando esco, non ho mai (ancore) amato nessuna donna di questo mondo quanto amo te, rosa desiderata (invidiata). Credo per certo (Ben) che tu mi sia stata destinata».

«Se distinata fòsseti, caderìa de l’altezze,
ché male messe fòrano in teve mie bellezze.
Se tutto addivenìssemi, tagliàrami le trezze
e consore m’arrenno a una magione
50 avanti che m’artocchi ’n la persone».

46-50 «Se fossi destinata a te, scenderei troppo dalla mia condizione elevata, perché le mie bellezze, se date a te (in teve), sarebbero sprecate (male messe fòrano). Se questo (tutto) mi dovesse succedere, mi taglierei (tagliàrami) le trecce e mi farei monaca (consore m’arrenno) in un monastero (magione) prima che tu mi metta le mani addosso».

 


TRECCANI Le parole valgono

magione Capita ancora di udire qualcuno che scherzosamente definisce la propria casa magione, forse per un’aura di solennità che circonda questa parola un po’ desueta. Nel linguaggio letterario, invece, magione è un’espressione ricorrente per indicare una dimora o una sede, concreta o anche figurata (la «magione di Dio», per esempio, era Roma). → Questo termine viene dal latino mansio, che significa “soggiorno”, a sua volta derivato di manere, ossia “rimanere”, “alloggiare”: quale altra parola italiana ha questa origine? Indica il suo significato e inventa una frase che la contenga.


«Se tu consore arrènneti, donna col viso cleri,
a lo mostero vènoci e rènnomi confleri:
per tanta prova vèncerti faràlo volonteri.
Con teco stao la sera e lo maitino;
55 besogn’è ch’io ti tegna al meo dimino».

51-55 «Se ti fai monaca, donna dal viso luminoso (cleri), verrò al monastero (mostero) e mi farò frate (rènnomi confleri): per vincerti in una prova così grande lo farei (faràlo) volentieri. Starò con te la sera e il mattino; è giocoforza (besogn’è) che io ti abbia in mio potere (al meo dimino)».


53 tanta prova: è l’impresa, ancora apparentemente impossibile, di conquistare la donna.

«Boimè, tapina misera, com’ao reo distinato!
Gieso Cristo l’altissimo del tutto m’è airato:
concepistimi a ’mmàttere in omo blestiemato.
Cerca la terra, ch’este granne assai,
60 chiù bella donna di me troverai».

56-60 «Ohimè, misera tapina, com’è triste il mio destino! Gesù Cristo, l’Altissimo, è del tutto adirato con me; mi hai fatto nascere (concepistimi) affinché mi imbattessi (a ’mmàttere) in un uomo sacrilego (blestiemato). Percorri il mondo, che è assai grande, potrai trovare una donna più bella di me».

«Cercat’aio Calabria, Toscana e Lombardìa,
Puglia, Costantinopoli, Genova, Pisa e Sorìa,
Lamagna e Babilonia e tutta Barberìa:
donna non ci trovai tanto cortese,
65 per che sovrana di meve te prese».

61-65 «Sono stato in Calabria, in Toscana e in Lombardia, in Puglia, a Costantinopoli, a Genova, a Pisa e in Siria, in Germania (Lamagna) e a Babilonia e in tutta l’Africa del Nord (Barberìa): non vi ho trovato una donna tanto cortese, e per questo (per che) ti ho scelta (te prese) come mia sovrana».


63 Babilonia: nell’incerta toponomastica medievale è Il Cairo o Baghdad.

«Poi tanto trabagliàstiti, faccioti meo pregheri,
che tu vadi addomànnimi a mia mare e a mon peri.
Se dare mi ti degnano, mènami a lo mosteri
e sposami davanti da la jenti,
70 e poi farò li tuo’ comannamenti».

66-70 «Poiché ti sei tanto affaticato (tra­ba- ­glià­stiti), ti faccio una preghiera, che tu vada a chiedermi in sposa a mia madre e a mio padre. Se acconsentono a darmi in moglie a te, portami al monastero e sposami pubblicamente (davanti da la jenti), e poi farò quello che vuoi».