Guido Cavalcanti

LA VITA

Guido Cavalcanti nasce a Firenze intorno al 1258. Di ricca famiglia guelfa (il cronista Giovanni Villani scrive che era una «delle più possenti case di genti, di possessione e di avere in Firenze»), figlio di Cavalcante, nel 1267 è promesso in matrimonio a Bice, figlia di Farinata degli Uberti – la famiglia che guidava lo schieramento ghibellino – allo scopo di pacificare le parti avverse. Prende parte alla vita pubblica di Firenze e, nella divisione dei guelfi, si schiera con i Cerchi (bianchi) contro i Donati (neri). Nel 1284 è, insieme con i letterati Brunetto Latini e Dino Compagni, nel Consiglio generale del Comune.

Maggior esponente dello Stilnovo, insieme con Dante, Guido Cavalcanti partecipa alla vita politica di Firenze schierato con i guelfi bianchi.

Il drammatico coinvolgimento nelle contese fiorentine

Di carattere fiero e sdegnoso, Guido è tra i più accesi protagonisti delle lotte intestine che sconvolgono la città: i cronisti del tempo raccontano della sua aspra rivalità con Corso Donati, che il poeta tenta di uccidere nel 1297, come vendetta per un attentato subito precedentemente. Il 10 maggio del 1300, durante il priorato di Dante Alighieri, suo grande amico, in seguito ad alcuni tumulti viene esiliato con gli altri capi delle due fazioni a Sarzana (oggi in provincia di La Spezia), dove rimane circa un mese. Ammalatosi e richiamato in patria, muore (forse di malaria) alla fine di agosto di quello stesso anno.

LE OPERE

Le Rime di Cavalcanti comprendono una cinquantina di componimenti (39 sonetti, 11 canzoni e 2 ballate), considerati fra i maggiori testi stilnovistici, caratterizzati da una visione spirituale ma anche angosciosa dell’amore per la donna, sempre avvolta in un alone di irraggiungibilità.

Dolore e malinconia

Nella canzone dottrinaria Donna me prega, perch’eo voglio dire il poeta espone i fondamenti filosofici della teoria dell’amante “fedele d’Amore”, ma, oltre ad altre rime “filosofiche”, scrive alcune poesie di intonazione più malinconica, specialmente ballate (come Perch’i’ no spero di tornar giammai), nelle quali dominano i motivi della morte e del timore per le conseguenze dolorose del sentimento amoroso.

Nelle Rime Cavalcanti canta con malinconia l’irraggiungibilità della donna amata.

Le ascendenze averroistiche

Cavalcanti si distingue infatti dagli altri Stilnovisti per la tendenza a rappresentare il mondo interiore dell’io lirico su un piano drammatico: dalla resa dello sbigottimento di fronte alla bellezza e alle potenti qualità della donna alla raffigurazione dei moti psicologici e anche fisici, seguendo in ciò i dettami della filosofia e della scienza medica del tempo, in particolare le correnti di ascendenza averroistica (vedi p. 135).

La poetica di Cavalcanti è influenzata dalla filosofia averroistica secondo la quale le facoltà vitali e i sentimenti si ritrovano in entità incorporee dette “spiritelli”.

La teoria degli “spiritelli”

Per esempio, conformemente alla credenza dei seguaci di Averroè, Cavalcanti è convinto che a ogni facoltà sensibile dell’essere umano presiedano specifici spiriti o “spiritelli”, entità aeree che vengono compromesse e talora addirittura messe in fuga da una forte emozione, come può essere la vista di una donna di eccezionale bellezza. Gli effetti dell’amore sono conseguenza del movimento di queste sostanze incorporee, che possono abbandonare la loro sede naturale, come quando lasciano il soggetto a cui appartengono per seguire autonomamente l’immagine della donna amata.

La teatralizzazione del sentimento

Nell’analisi minuziosa dei contorcimenti della psiche soggetta all’assalto amoroso, il poe­ta manifesta il tormento dell’innamorato come su una scena teatrale, dove agiscono, alla stregua di veri e propri personaggi, le diverse facoltà dell’anima, i sentimenti e le emozioni del mondo interiore. Assorbito dal travaglio che si consuma dentro di sé, l’individuo smarrisce l’autocontrollo e la razionalità, ormai disgregato psicologicamente e morto spiritualmente.

fuori dal CANONE
vedi T18, p. 144