L’averroismo è la dottrina filosofica che fa capo agli insegnamenti di Averroè (adattamento occidentale dell’arabo Ibn Rushd), nome con il quale è noto in Occidente il filosofo, giurista, medico e astronomo arabo di Spagna Abu‐al-Walīd Muhammad Ibn Rushd (Cordova 1126 - Marrakesh 1198).

Un seguace arabo di Aristotele
Questa corrente si diffonde molto rapidamente fra il XIII e il XIV secolo, non solo nel mondo arabo ma anche in Europa. Qui l’averroismo fu combattuto sul terreno filosofico da Tommaso d’Aquino (1225-1274). Le idee di Averroè erano infatti inconciliabili con la religione cristiana, poiché egli riduceva la fede a un complesso di miti e di norme pratiche, necessarie per il popolo ma non per i filosofi che ne vedono il fondamento mitologico (dottrina detta della “doppia verità”).
Tra le numerose opere di Averroè sono celebri in particolare i Commentari ad Aristotele e alcuni scritti originali, tra i quali il più noto è il Tahāfut at-tahāfut (in versione latina Destructio destructionis, L’incoerenza dell’incoerenza). Tre le sue tesi, che influenzarono la cultura occidentale: l’indipendenza delle verità di ragione da quelle di fede, l’eternità della materia e del mondo, la negazione dell’immortalità dell’anima individuale. Grande ammiratore di Aristotele, Averroè si proponeva di liberare il pensiero aristotelico dalle deformazioni neoplatoniche dei precedenti commentatori.
Anima, mente e intelletto
La teoria averroistica che suscitò maggior interesse nella cristianità fu quella dell’intelletto e del suo rapporto con l’anima umana. Averroè distingue nettamente alcuni concetti che sarà bene tenere presenti per una migliore comprensione della poesia di Guido Cavalcanti, seguace della dottrina averroistica (ma anche per capire diversi passi della Divina Commedia, visto che Dante cita più volte il pensiero averroistico).
Averroè parla della mente come di una parte dell’anima sensitiva e precisamente come del luogo della memoria e dell’immaginazione. Altra cosa, invece, è l’intelletto, che può conoscere le verità universali senza il supporto dei sensi, ma che non è dato ai singoli individui. Esiste infatti soltanto un intelletto unico, universale, comune all’intera umanità e immortale (è il cosiddetto “intelletto potenziale”), mentre l’anima del singolo essere umano è destinata a perire: Averroè non crede nel dogma cristiano dell’immortalità dell’anima; crede soltanto in un’immortalità impersonale dell’intelletto.
Dalla filosofia alla poesia
Ma in che modo la teoria averroistica caratterizza la poesia cavalcantiana? Per Cavalcanti la donna rappresenta la manifestazione sensibile di alcune qualità (come la bellezza e l’umiltà), ma la conoscenza di queste idee (che non sono sensibili, bensì universali e puramente intellettuali) non può essere ottenuta tramite la mente, che non è in grado di giungere a quell’altezza, e neppure tramite l’intelletto, che non è nella disponibilità del singolo, essendo, come si è visto, unico per tutti gli esseri umani e dunque impersonale.
È pur vero che per Averroè l’intelletto si congiunge ai singoli individui, che in questo modo contribuiscono alla conoscenza e possono, a loro volta, riceverla; ma per farlo devono superare la visione sensibile, cioè andare oltre le apparenze che dominano la mente; questo però risulta molto difficile, se non impossibile, a chi è in preda alla passione amorosa. Ciò spiega perché la mente non porta l’innamorato verso un’autentica conoscenza, ma piuttosto lo allontana da essa e dunque gliela preclude.