Tu, voce sbigottita e deboletta
ch’esci piangendo de lo cor dolente,
coll’anima e con questa ballatetta
40 va’ ragionando della strutta mente.
Voi troverete una donna piacente,
di sì dolce intelletto
che vi sarà diletto
starle davanti ognora.
45 Anim’, e tu l’adora
sempre, nel su’ valore.

37-46 Tu, voce sbigottita e fievole (deboletta), che esci piangendo dal mio cuore addolorato, continua a ragionare della mente afflitta (strutta) con l’anima e con questa piccola ballata. Voi tutti troverete una donna bella, di intelletto così soave che sarà per voi un piacere (vi sarà diletto) stare continuamente (ognora) in sua presenza. E tu, anima mia, adorala sempre per i suoi pregi (nel su’ valore).

 


TRECCANI Le parole valgono

piacente Tra gli infiniti gradi della bellezza, quello che viene evocato con l’aggettivo piacente è forse il più sfumato, il più moderato, il meno esuberante insomma. Anche una persona che non riteniamo di aspetto bellissimo o che non gode più della verde età può mantenere inalterata la capacità di attrarre: piacente è appunto l’individuo che emana un certo fascino o che semplicemente suscita simpatia e interesse. → Anche il contrario di piacente, cioè spiacente, è un participio presente che usiamo come aggettivo: chi è spiacente prova dispiacere o rammarico. Forma una frase in cui spiacente abbia questo significato.


 
37 Tu, voce: è l’unica occasione, nell’intero componimento, in cui il poeta non si rivolge alla ballata, connotando così l’ultima strofa in maniera diversa rispetto alle altre (quasi un congedo nel congedo).
40 strutta: letteralmente, “distrutta”.
41 piacente: “bella” non solo in senso fisico ma anche caratteriale, dunque “attraen­te e affabile”.
46 valore: termine difficilmente traducibile, che allude insieme alla bellezza, alla grazia, alla gentilezza e alle virtù morali.

Dentro il TESTO

I temi

Un invito alla ballata
Convinto di non poter tornare in Toscana, Cavalcanti invia un canto d’amore alla sua donna, intessuto di sospiri, dolore e paura, che non deve essere letto da chi sia nemico della vera nobiltà. Poiché la morte si sta avvicinando, la ballata dovrà portare l’anima del poeta, una volta che avrà abbandonato il suo cuore, alla donna amata. Ora il “servizio d’amore” (cioè la fedele sottomissione alla sua “signora”), che è stato del poe­ta, sarà assunto dalla ballata stessa (oppure, secondo l’interpretazione fornita nella nota al v. 33, dall’anima del poeta). L’io lirico invita la propria voce a parlare, insieme con l’anima e con la ballata, della propria mente ormai annientata. La voce, l’anima e la ballata saranno accolte da una donna bella e virtuosa, al punto che stare dinanzi a lei sarà per loro un vero piacere.

L’occasione del componimento
Si è a lungo ritenuto che questa ballata sia stata scritta durante l’esilio a Sarzana: se tale ipotesi fosse vera, si tratterebbe dell’ultima, o quanto meno di una delle ultime poesie di Cavalcanti. L’unico dato certo, però, è che si tratta di una poesia di lontananza: altri, infatti, ipotizzano che sia stata scritta durante un pellegrinaggio dell’autore a Santiago de Compostela, in una sosta in Provenza, dove il poeta si ammalò gravemente (tanto che il viaggio fu definitivamente interrotto). In realtà, nel contenuto essa si ispira alla tradizione cortese del congedo dall’amata e dalla stessa vita, che era diventato un vero e proprio sottogenere della lirica. Dunque si potrebbe ipotizzare in teoria che Cavalcanti l’abbia scritta a Firenze, soltanto immaginando di essere lontano dalla sua città.