CONSONANZE CONTEMPORANEE

Giorgio Caproni

L’ANIMA LEGGERA CHE SUPERA IL TEMPO E LO SPAZIO

In un famoso saggio raccolto nel volume postumo Lezioni americane (1988), Italo Calvino riflette sulla capacità di Cavalcanti di tradurre in versi di perfetta e dolce eleganza temi impegnativi, dalla filosofia alla scienza, e un’esperienza amorosa segnata dalla sofferenza. La sua, scrive, è una «leggerezza della pensosità» che dissolve in «entità impalpabili», in raggi e sospiri gli affanni di un sentimento drammatico e vissuto con totale coinvolgimento spirituale.
Nella letteratura italiana del Novecento c’è un poeta che potremmo definire cavalcantiano: un poeta che contrassegna la sua ispirazione con un tono ugualmente leggero (ma mai frivolo, tutt’altro), che traspare dai versi brevi e scarni e dalla limpida levità dello stile. Il poeta in questione è Giorgio Caproni (1912-1990), autore di una produzione lirica all’interno della quale sfila un vivido repertorio di figure e affetti schietti ma vibranti, rievocati grazie a improvvise folgorazioni e a memorie sfuggenti.
Nei versi di Preghiera, il modello di Cavalcanti e, in particolare, della ballata Perch’i’ no spero di tornar giammai, è evidente: Caproni ricorda l’immagine della madre, morta qualche anno prima, come se la potesse rivedere nel fiore della sua giovinezza. In Cavalcanti era la stessa ballata ad avere il compito di farsi messaggera della sofferenza del suo autore; qui l’inviata dell’io lirico è l’anima stessa, a cui si chiede di essere leggera per poter raggiungere a Livorno la madre tanto amata.

Fotografia in bianco e nero di Giorgio Caproni. Il poeta è ritratto di fronte a una grande libreria. A fianco c'è un leggio con uno spartito musicale aperto.

Anima mia leggera,
va’ a Livorno,1 ti prego.
E con la tua candela
timida, di nottetempo
fa’ un giro; e, se n’hai il tempo,
perlustra e scruta, e scrivi
se per caso Anna Picchi2
è ancora viva tra i vivi.
Proprio quest’oggi torno,
deluso, da Livorno.
Ma tu, tanto più netta
di me, la camicetta
ricorderai, e il rubino
di sangue,3 sul serpentino
d’oro4 che lei portava
sul petto, dove s’appannava.5
Anima mia, sii brava
e va’ in cerca di lei.
tu sai cosa darei
se la incontrassi per strada.

(Giorgio Caproni, Preghiera, in Il seme del piangere, Garzanti, Milano 1959)

1 Livorno: la città d’origine del poeta e dei suoi genitori.
2 Anna Picchi: la madre del poeta, morta nel 1950.
3 di sangue: di colore rosso vivo.
4 serpentino d’oro: gioiello d’oro a forma di piccolo serpente (una spilla o un ciondolo).
5 s’appannava: per il calore emanato dal corpo della donna.

PER SCRIVERNE

ORIENTARSI – CONSAPEVOLEZZA DI SÉ
La poetessa polacca Wislawa Szymborska (1923-2012) ha scritto una lirica in cui descrive l’anima come una compagna scontrosa e una presenza intermittente, che si fa viva quando meno la cerchiamo: «L’anima la si ha ogni tanto. / Nessuno la ha di continuo / e per sempre» (Qualche parola sull’anima). Ma di che cosa si tratta davvero? Di che cosa parlano poeti e filosofi di ogni tempo? Esiste un lato spirituale della persona, nascosto da qualche parte, nelle pieghe del corpo e della mente? E, se sì, che rapporto ha con noi, con il resto di noi?
Per secoli, gli uomini e le donne appartenenti alla cultura occidentale hanno pensato all’anima come a qualcosa di indipendente dal corpo, e capace di sopravvivergli dopo la morte. Tu che idea hai di questa misteriosa entità? Esiste, secondo te, qualcosa di imperscrutabile che racchiude la tua vita interiore e che magari interroghi di tanto in tanto? Esponi il tuo pensiero in una pagina di diario, in cui comunichi le tue sensazioni e il tuo punto di vista in uno stile libero e informale.