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Le parole possono ferire: l’importanza del contesto

CITTADINANZA DIGITALE

Le parole hanno un potere sconfinato, a partire da quello di orientare la nostra visione del mondo. Le parole soprattutto non sono mai “innocenti” dal momento che definiscono noi e gli altri, esprimono idee e (pre)concetti, giudicano e perfino feriscono. Ecco perché, soprattutto nell’epoca dei social network, è fondamentale sceglierle con cura, acquistando la consapevolezza dei loro significati. Nell’ambito di un’articolata riflessione sui caratteri della comunicazione di oggi, la sociolinguista Vera Gheno (n. 1975) mette in evidenza come sia necessario collocare parole ed espressioni entro il contesto in cui esse sono usate: non certo per giustificare il turpiloquio o modi di dire disturbanti, ma per comprendere meglio l’orizzonte culturale e le reali motivazioni sottese al nostro modo di esprimerci

Vera Gheno.
La sociolinguista Vera Gheno.

C’è un settore della lingua molto ricco e interessante da studiare che è quello delle parole che feriscono. […] Quelle più semplici, sia da individuare che da evitare, sono quelle esplicitamente offensive: insulti, epiteti, termini volgari, bestemmie. Sono così evidenti che possono essere facilmente “flaggate”1 in rete da filtri che ne impediranno la pubblicazione, ma anche in questo caso apparentemente lampante possono succedere incidenti: potrebbe capitare che un omosessuale che usa scherzosamente il termine “frocio” per autodefinirsi venga bloccato da Facebook per “hate speech”,2 perché il sistema, o chi controlla, non è in grado di comprendere l’uso ironico del termine. Insomma, dobbiamo considerare anche il settore delle parole che sarebbero offensive, ma che se usate in un certo modo possono anche non esserlo: nigger, se usato da un’azienda nel nome di uno smalto di colore nero (Thick as a nigger, per l’esattezza), risulta estremamente offensivo; se impiegato da una persona di colore, ad esempio un rapper, diventa invece una rivendicazione di orgoglio razziale. Insomma, non conta solo il contesto, ma anche l’atteggiamento.

1 “flaggate”: contrassegnate con un flag, ovvero con un segno di spunta.
2 “hate speech”: in inglese, espressione di odio, rivolta tramite mezzi di comunicazione, contro individui o intere fasce di popolazione (immigrati, omosessuali, fedeli di altre religioni, disabili ecc.).

Non si possono avere certezze che una parola apparentemente offensiva sia usata per offendere, ma nemmeno che una parola non offensiva non venga usata per offendere. Questo è in parte il limite del cosiddetto “politicamente corretto”: si pensa che la scelta di una parola non offensiva possa persino neutralizzare un’attitudine negativa. Ma non è che un razzista diventi meno razzista se usa “afroamericano” invece di “negro”, anche se è vero che l’uso delle parole più corrette può contribuire a modificare, seppur lentamente, l’opinione pubblica.

Un collage moderno composto da elementi astratti e figurativi. A sinistra, una bocca aperta in bianco e nero, ritagliata in una forma irregolare, domina la scena. Lo sfondo è diviso in tre sezioni principali: una in tonalità beige; una in tonalità beige con una texture che ricorda la tela e una in blu acceso. Una linea irregolare e frammentata di colore nero attraversa diagonalmente la parte inferiore dell'immagine, creando un contrasto visivo. L'insieme trasmette un senso di espressività e dinamismo.