Molto più infide sono le parole che possono diventare offensive a seconda del contesto o, soprattutto, dell’intenzione comunicativa […]: i nomi di ortaggi o animali (finocchio, rapa, bietolone, cagna, caimano, maiale), i nomi geografici (levantino, cinese, mongolo), le malattie (matta, deficiente, storpio). Quante volte sarà capitato a una donna di sentirsi dire ma hai il ciclo?, come se questo le annebbiasse il raziocinio e la rendesse meno lucida.
Ancora più insidiose sono le parole che non sembrano offensive: signora, ad esempio, può venire usato in maniera derogatoria per rivolgersi a una professionista invece del suo titolo professionale. […] Alla stessa maniera, si può usare con intento offensivo un’espressione come giovane studiosa, apparentemente gentile, ma in realtà pesantemente paternalistica, soprattutto quando la suddetta giovane ha ormai passato da un pezzo la quarantina, e quindi può a buon diritto dirsi “diversamente giovane”. Diventa un modo per rimarcare la differenza di livello in maniera piuttosto fastidiosa.
(Vera Gheno, Tutti i modi dell’hate speech sui social media: quando la lingua separa e ferisce, “Agenda Digitale”, 3 maggio 2018)
