La nascita della laicità
Abbiamo finora messo in evidenza come la mentalità borghese determini un rinnovamento profondo della concezione dell’individuo. Per la prima volta, abbiamo utilizzato concetti quali materialismo e laicismo a significare la nascita di un uomo “nuovo”, sottratto al dominio della trascendenza e teso a conoscere e modificare la realtà grazie alle proprie possibilità e alla propria azione concreta. Una tale svolta incide su tutto il pensiero, da quello politico a quello filosofico e teologico.
La crisi delle due grandi istituzioni medievali, l’Impero e la Chiesa, stimola nuove, rivoluzionarie riflessioni sulla natura dei loro rapporti, sulle finalità dello Stato moderno e sui diritti dei cittadini. Marsilio da Padova (1275/1280-1342/1343), teologo all’Università di Parigi, pubblica nel 1324 un’opera fondamentale, il Defensor pacis (Il difensore della pace), in cui contro il potere temporale del papa si sostengono l’autonomia dello Stato e il principio della volontà popolare come bene supremo di ogni società civile e come vero e unico legislatore, a cui deve essere sottoposto anche il sovrano. La conseguenza di tale concezione politica è fondamentale: nel prescrivere la netta separazione dei poteri, Marsilio (che per questo viene bollato dal papa come “figlio del diavolo”) dichiara che la Chiesa si deve astenere da qualsiasi ingerenza in campo politico e sociale, rendendola soggetta al potere laico dello Stato.
Capisaldi della mentalità borghese, laica e materialista, sono l’indipendenza dal potere del papa e l’autonomia dello Stato.
Il superamento della concezione teocentrica
Non si pensi tuttavia che la religione venga posta ai margini della vita individuale e associata, che i valori cristiani siano ormai superati e che il Trecento sia un secolo non religioso: la fede e la presenza divina rimangono centrali e indiscutibili. Ciò che tramonta è invece la concezione provvidenzialistica della vita e, con essa, le grandi sintesi universalistiche che spiegavano il mondo, i suoi fenomeni e il corso dell’esistenza umana.
Fede e ragione presiedono ambiti diversi: la loro conciliazione non è necessaria.
La visione teocentrica della storia appare ormai contraddetta dall’interesse dell’uomo per il mondo terreno e dalla curiosità crescente che lo porta a osservare la realtà senza le tradizionali sovrastrutture della speculazione teologica. Nell’ambito filosofico, questa tendenza si traduce nella crisi della Scolastica (la scuola di pensiero medievale che mirava a conciliare la fede e la ragione): il francescano inglese Guglielmo di Ockham (ca 1288-1349) afferma che Dio è conoscibile solo grazie alla fede e non mediante la ragione, alla quale spetta di indagare la realtà sensibile per mezzo dell’osservazione e dell’esperienza. Questa separazione tra fede e ragione è all’origine della nascita di un pensiero nuovo, fondato sulla ricerca sperimentale e sullo studio scientifico, affrancato da quello teologico.
Negli autori classici non si cercano più solo insegnamenti religiosi. L’individuo, spinto dal desiderio di leggere e conoscere, è in grado di accedere in modo autonomo al sapere.

Una comprensione nuova del passato
Infine, anche nel rapporto con il passato è possibile registrare un approccio innovativo, che tenta di liberarsi dai preconcetti moralistici ed edificanti tipici della mentalità medievale. Ciò si vede in primo luogo dal modo con cui vengono letti e studiati i classici, non più opere di auctores latini da cui distillare messaggi (non importa quanto travisati o almeno strumentalizzati) di alto profilo morale. La riscoperta delle opere antiche – a cui si dedicano con infervorato entusiasmo Petrarca e Boccaccio – porta a scoprire testi sconosciuti, spalanca nuovi orizzonti al sapere, alimenta il desiderio di leggere e imitare quei capolavori senza necessariamente ricavarne insegnamenti religiosi.
Al contrario, questo rinnovato culto dei classici pone al centro l’importanza degli studi dell’uomo e sull’uomo, sulla base di una concezione dell’individuo come soggetto capace ormai di accedere autonomamente alla conoscenza. Non a caso, tale tendenza è definita oggi “Preumanesimo”, in quanto preannuncio della grande rivoluzione culturale dell’Umanesimo propriamente detto, destinata a cambiare nel Quattrocento l’immagine dell’uomo.
Negli autori classici non si cercano più solo insegnamenti religiosi. L’individuo, spinto dal desiderio di leggere e conoscere, è in grado di accedere in modo autonomo al sapere.