intellettuale & società
LA CULTURA PER PROFESSIONE
La crisi del modello politico dantesco
Forse mai come nel Trecento i cambiamenti sociali e politici generali si riflettono sulla vita, sul ruolo e sulle funzioni degli intellettuali. Proviamo a spiegare questa affermazione ricorrendo al confronto tra Dante e Petrarca, modelli rappresentativi rispettivamente del Duecento e del Trecento. Come abbiamo visto, il primo incarna la figura del poeta militante, integrato nella dimensione cittadina, radicato nella propria realtà sociale, impegnato in prima persona nella lotta civile e politica. Anzi, possiamo dire di più: da uomo di parte quale è, Dante rappresenta proprio il simbolo dell’artista che non può concepire la scrittura se non in relazione con i conflitti del proprio tempo, interni alla dimensione in cui vive. Fiducioso di poter intervenire sullo svolgimento dei fatti storici, conserva questa disposizione (o, addirittura, la accentua) anche quando è costretto – proprio dalla sua azione politica – all’esilio, non rinunciando mai a legare l’opera letteraria alle mansioni civili che egli si attribuisce.
Al servizio del signore
Il passaggio dai Comuni alle Signorie rende però inattuabile questo modello intellettuale. Ora vi sono un signore o una famiglia che non concedono spazi di autonomia a nessuno. Semmai, per accrescere il proprio prestigio, tendono a ricompensare l’artista della perdita di indipendenza gratificandolo con l’ospitalità e con la protezione (anche economica) nelle proprie corti. Aspirano, così facendo, a diventare dei “mecenati” (come l’omonimo protettore degli artisti al tempo dell’imperatore romano Augusto), munifici promotori delle attività artistiche e culturali.
Questa nozione di “mecenatismo” verrà ripresa e ampliata in epoca umanistica, nel Quattrocento, quando tale rapporto tra intellettuale e potere sarà codificato in una prassi costante. Tuttavia, già nel Trecento essa incomincia a definire i caratteri della nuova figura di intellettuale. E qui è utile il riferimento all’esperienza di Petrarca. L’autore del Canzoniere è infatti ormai un intellettuale professionista, separato dalla realtà in cui vive, non più legato a un orizzonte municipale. Come documenta la sua biografia, è un “nomade” che viaggia di corte in corte e che sfrutta la specificità del proprio lavoro culturale per ottenere garanzie economiche, fama e successo: una fama e un successo senza frontiere, da vero artista cosmopolita.
L’intellettuale di professione
Nel Duecento, chi scriveva svolgeva anche altre professioni: notaio, funzionario, docente, mercante ecc. Nel Trecento si cerca di vivere dignitosamente confidando solo nella propria specifica attività letteraria. Poiché ciò talora non è possibile (non sempre le corti permettono di raggiungere un buon livello di sussistenza, con la conseguenza che l’artista si adatta a mansioni di ripiego), si fa strada una soluzione destinata a diventare frequente. Ce la indica, ancora una volta, Petrarca che, senza disdegnare le prebende signorili, abbraccia la carriera ecclesiastica prendendo gli ordini minori (ministeri ecclesiastici che non comportano la cura delle anime): un impiego, questo, che garantisce all’uomo di lettere di dedicarsi alla propria vocazione intellettuale senza l’affannosa ricerca di un sostegno economico.