Abbiamo detto che la narrazione si svolge, nelle intenzioni dell’autore, a consolazione delle donne innamorate. “Consolazione” in latino si dice solacium, la stessa parola da cui in italiano deriva “sollazzo”, cioè “piacere”: perché, prima ancora che le vicende, varie e multiformi, narrate nelle novelle, fulcro dell’opera è proprio questo piacere del racconto, cioè il piacere vicendevole del raccontare e del farsi raccontare delle storie.
La peste
Nel Proemio Boccaccio presenta il Decameron come un’opera intesa quale aiuto per vincere la malinconia. Non a caso, subito dopo il Proemio, nell’Introduzione alla Prima giornata l’opera continua (o, se vogliamo, si apre) con la descrizione della terribile peste che imperversò a Firenze nel 1348, un episodio reale e insieme simbolico, cioè allusivo in generale alla fragilità della condizione umana e ai diritti – potremmo dire – della vita sulla morte.
La peste di Firenze è un fatto storico ma anche la metafora di una corruzione etica e sociale.
Firenze è il luogo di una peste fisiologica e, metaforicamente, etica e sociale, perché l’epidemia, con i suoi molteplici effetti negativi, ha determinato nelle persone, accanto alla consunzione fisica, una profonda corruzione morale, minando le basi comuni del vivere civile.
Il giardino
In contrapposizione alla pestilenza (e alla penitenza) che pervade la Firenze del 1348, il raccontare determina un piacere che è, insieme, diletto e consolazione. Ciò è evidente già a partire dal luogo del racconto, il giardino, locus amoenus in cui si svolge il «novellare», un luogo circoscritto e separato rispetto alla città pervasa dalla malattia e dalla corruzione.
Inoltre, come ha ben evidenziato lo studioso Mirko Bevilacqua, il giardino come luogo reale assurge a simbolo del prestigio sociale della vecchia aristocrazia e della nuova borghesia fiorentina (in quanto i loro membri sono possessori di ville nel contado); come luogo immaginario è quello in cui si realizzano la produzione, il consumo e la ricezione dell’opera letteraria (le novelle), mentre la brigata dei narratori svolge, a sua volta, il doppio ruolo di produttrice e fruitrice dell’opera. Il giardino non è solo il luogo deputato – per lunga e tradizionale convenzione letteraria – dove i giovani ragionano d’amore; è anche e soprattutto il locus amoenus, simbolo della perfezione di un Eden sottratto alla corruzione e al degrado, metafora di un ritrovato equilibrio tra presenza umana e natura. La chiusura garantita dal muro esterno, i roseti che proteggono dai raggi del sole, la fontana che provvede all’irrigazione delle piante, l’abbondanza di animali e il profumo inebriante: nel giardino-paradiso si è al riparo dal potere della Morte. Dentro questo spazio, il «novellare» costituisce un’attività di civile conversazione: la parola e l’ambiente da cui essa nasce e viene accolta sono gli unici mezzi per rifondare, mentalmente e razionalmente, un mondo distrutto dall’apocalisse della peste.
Il giardino in cui è ambientata la cornice del Decameron è un luogo sia reale (di prestigio sociale) sia simbolico, come metafora di un ritrovato equilibrio tra presenza umana e natura.
