I temi e la visione del mondo

I dieci ragazzi raccontano, dunque, cento novelle, affrontando temi vari, ispirandosi a tradizioni diverse, introducendo talvolta addirittura un terzo grado di narrazione: un personaggio di una novella che a sua volta racconta. All’interno di questa struttura-contenitore delle novelle, che è di estrema compattezza, esiste una notevole libertà di contenuti, il cui unico vincolo rimane il tema di riferimento.
Nel corso di ogni singola giornata, infatti, ci si muove nello spazio e nel tempo, si seguono le gesta di marinai, principi, monaci e monache, pirati, cittadini, ma soprattutto mercanti; ci si trova in alto mare, nelle strade della Firenze e della Napoli che Boccaccio conosce così bene, nel chiuso dei conventi e delle chiese, in aperta campagna, tra la folla o in solitudine. In questo si rivela evidentemente preziosissima l’esperienza di Boccaccio nel mondo mercantile e finanziario delle diverse città italiane; il contatto con banchieri, mercanti e un infinito campionario di tipi umani rappresenta il bacino da cui l’autore attinge per la creazione delle novelle.

LE TRE FORZE CHE MUOVONO IL MONDO

Per Boccaccio sono tre, principalmente, le forze che guidano le azioni degli uomini: la fortuna, l’amore, l’ingegno (cioè l’intelligenza).

La fortuna

Spesso i destini dei personaggi del Decameron sono determinati dalla fortuna, intesa come caso fortuito (il tema è particolarmente presente nelle novelle della Seconda e della Terza giornata: si veda, soprattutto, la novella di Andreuccio da Perugia, II, 5, vedi T7, p. 463). Va detto però che il concetto che ha Boccaccio della fortuna è laico: essa è costituita, ai suoi occhi, da un insieme di forze, eventi e accidenti incontrollabili da parte dell’uomo, che però può cercare, per quanto riesca, di contrastarne l’azione distruttrice, opponendole (e qui sta l’ottimismo quasi prerinascimentale dello scrittore) le risorse dell’intelligenza.
Si tratta di un’idea molto diversa da quella che aveva Dante (e con lui tutta la cultura medievale): nel canto VII dell’Inferno viene detto chiaramente che la Fortuna è un’intelligenza angelica (per questo la parola è scritta con l’iniziale maiuscola), che ha il compito di trasferire i beni materiali da un individuo all’altro, da una famiglia all’altra, da una nazione all’altra e così via, per far comprendere agli esseri umani il carattere effimero delle cose di questo mondo.

Boccaccio ha un concetto laico della fortuna: alla sua azione spesso incontrollabile, l'uomo oppone la propria intelligenza.

L’amore

Un altro argomento che trova frequente ospitalità nelle novelle di Boccaccio è l’amore. Abbiamo visto che tale tematica era già assai presente nelle opere giovanili. In quei testi, però, c’era un’urgenza autobiografica molto forte: erano opere, cioè, in cui l’amore di cui si parlava era spesso un sentimento effettivamente provato in prima persona dall’autore. Nel Decameron invece, Boccaccio, in età più matura, libero dalle passioni, può lasciarsi andare a contemplarle negli altri, con l’empatia di chi le ha sperimentate, ma anche con il distacco necessario per una loro rappresentazione più oggettiva.
La tematica amorosa è presente in moltissime novelle, non solo in quelle delle giornate Quarta (amori infelici: Lisabetta da Messina, IV, 5, vedi T9, p. 475) e Quinta (amori felici: Federigo degli Alberighi, V, 9, vedi T11, p. 488). Con esse Boccaccio si pone in netta polemica con lo spiritualismo e l’ascetismo medievale, che avevano visto per lo più l’amore come una realtà peccaminosa: da qui la satira spesso molto tagliente contro l’ipocrisia dei religiosi, quegli uomini e quelle donne di Chiesa (preti, frati, monaci, suore) che predicano la morale ma poi agiscono in modo opposto. Per Boccaccio l’amore e la sessualità sono invece realtà assolutamente naturali, alle quali è colpevole volersi opporre: devono essere assecondate, altrimenti si va contro le esigenze della natura. Anche da qui la difesa delle donne e dei loro diritti dallo strapotere maschile (come accade nella novella di Madonna Filippa).

Boccaccio offre una rappresentazione più oggettiva dell'amore. L’autore ritiene che la passione non sia peccato e critica l'ipocrisia dei religiosi al riguardo. Ha una visione laica e naturalistica dell'amore.


fuori dal CANONE
vedi T13, p. 498