Ciò spiega perché nel Decameron i personaggi vincenti, ancorché talvolta riprovevoli secondo una concezione morale tradizionale, rigida e precettistica, siano quelli che mostrano una capacità di uscire indenni dagli ostacoli posti dall’esistenza grazie all’intraprendenza e alla sagacia, sia pure truffaldina o disonesta: a cominciare da ser Ciappelletto che, nella prima novella, apre la raccolta. Si tratta di capacità trasversali dal punto di vista sociale: sono messi alla berlina principi e sempliciotti, uomini di Chiesa corrotti (la satira anticlericale è un altro motivo ricorrente nell’opera) e servi sciocchi. Segni distintivi dell’intelligenza sono anche la consapevolezza della realtà e l’accettazione delle sconfitte. Siamo ben lontani – appare evidente – dall’atteggiamento fatalistico, aristocratico e teocentrico che aveva caratterizzato la cultura precedente. E questa è un’altra grande conquista di Boccaccio.
L’arte di saper parlare
Hanno successo, nelle varie novelle, i personaggi che sono in grado di superare le peripezie grazie alle loro capacità tutte umane, affidandosi completamente all’intuito, alla conoscenza del mondo e dell’uomo, all’esperienza e alla parola. Su quest’ultimo punto – la celebrazione della parola – Boccaccio insiste in diverse novelle: saper parlare bene, a proposito, in maniera efficace e adatta alla situazione è una qualità che lo scrittore mostra di apprezzare in particolar modo. E in fondo l’intero Decameron può essere letto come un’esaltazione dell’arte del parlare, oltre che del raccontare.
Etica cortese ed etica borghese
L’ultima giornata è dedicata ai valori della cortesia e della magnanimità, cioè a quei valori che erano stati tipici della società e della letteratura cortese (presenti, d’altronde, anche in diverse novelle delle altre giornate, come la già citata V, 8, vedi T10, p. 480). Lo scrittore sceglie di proporli al nuovo pubblico borghese, che gli appare pronto a subentrare, sul piano della primazia sociale, all’antica nobiltà feudale.
Tuttavia Boccaccio non è affatto un nostalgico del tempo passato. Al contrario, tutto proiettato com’è nel futuro, è il primo a riconoscere che l’universo feudale aveva spesso dato origine a vere e proprie aberrazioni, per esempio l’esasperazione di un potere assoluto senza limiti e senza freni: nell’ultima novella del libro troviamo l’esempio della «matta bestialità» di Gualtieri, il marchese di Saluzzo, che tormenta crudelmente la propria moglie, Griselda, per metterne alla prova la pazienza e la fedeltà ai limiti dell’umana sopportazione. Con questa novella l’autore vuole mostrare l’estremo negativo del mondo aristocratico-feudale. Non per questo, però, Boccaccio crede che le virtù cortesi siano tramontate: quei valori vanno trapiantati, e adattati, nella nuova società comunale.
Boccaccio ripropone i valori della società cortese, ma senza nostalgia per il passato: vuole adattare quei valori alla nuova società borghese. L'unità dell'opera è data dalla capacità di Boccaccio di osservare la realtà e di esaltarne prima di tutto gli aspetti concreti e terreni.
Se l’autore quindi da una parte manifesta la propria adesione ai valori della borghesia mercantile a lui contemporanea (intelligenza pratica, prontezza di spirito, audacia, libertà intellettuale e religiosa, capacità di indirizzare le circostanze a proprio vantaggio, considerazione degli aspetti economici, riconoscimento del valore degli individui rispetto ai privilegi derivanti dalle origini familiari), dall’altra ritiene che possano ancora essere validi e nobilitanti per la borghesia stessa i valori della società cortese, aristocratica e feudale (liberalità, magnificenza, lealtà, coraggio, senso dell’onore).