Adunque, acciò che in parte per me47 s’amendi il peccato della fortuna,48 la
quale dove meno era di forza,49 sì come noi nelle dilicate donne veggiamo, quivi
più avara fu di sostegno, in soccorso e rifugio di quelle che amano, per ciò che
all’altre è assai50 l’ago e ’l fuso e l’arcolaio, intendo51 di raccontare cento novelle,
60 o favole o parabole o istorie che dire le vogliamo,52 raccontate in diece giorni da
una onesta brigata53 di sette donne e di tre giovani nel pistelenzioso tempo della
passata mortalità fatta,54 e alcune canzonette dalle predette donne cantate al
lor diletto. Nelle quali novelle piacevoli e aspri55 casi d’amore e altri fortunati56
avvenimenti si vederanno così ne’ moderni tempi avvenuti come negli antichi;
65 delle quali le già dette donne, che queste leggeranno, parimente diletto delle
sollazzevoli57 cose in quelle mostrate e utile consiglio potranno pigliare, in quanto
potranno cognoscere quello che sia da fuggire e che sia similmente da seguitare:58
le quali cose senza passamento di noia non credo che possano intervenire.59 Il
che se avviene, che voglia Idio che così sia, a Amore ne rendano grazie, il quale
70 liberandomi da’ suoi legami m’ha conceduto il potere attendere60 a’ lor piaceri.

47 per me: grazie alla mia opera.
48 s’amendi… fortuna: si ponga rimedio alla colpa (peccato) della sorte.
49 dove meno era di forza: dove c’era meno forza.
50 all’altre è assai: alle altre bastano.
51 intendo: ho intenzione.
52 che dire le vogliamo: come le vogliamo chiamare.
53 brigata: compagnia.
54 nel pistelenzioso… fatta: costituitasi (fatta) durante il tempo della pestilenza.
55 aspri: avversi.
56 fortunati: soggetti alla fortuna.
57 sollazzevoli: piacevoli.
58 seguitare: seguire.
59 senza… intervenire: non credo che possano accadere senza che passino le loro pene (passamento di noia).
60 attendere: dedicarmi.

RISCRITTURA in ITALIANO MODERNO di Aldo Busi

Comincia il libro.
Nome: Decamerone.
Cognome: Principe Galeotto.
Qui ci sono cento storie in dieci giornate dette da sette ragazze e da tre giovanotti.

Umana cosa è l’avere compassione degli afflitti, e se ciò vale per ciascuno di noi, figuriamoci per quelli che, bisognosi di conforto, l’hanno trovato: vorrà dire che a loro volta si prodigheranno senza risparmiarsi quando gli verrà richiesto; e se mai c’è stato uno che avendone bisogno l’ha poi ricevuto, quello sono proprio io. Perché dalla mia adolescenza a ora sono stato in balìa di un amore tale che, se lo narrassi, apparirebbe forse ben più nobile di quanto la mia infima persona non lascerebbe pensare. Sebbene chi ne venne a conoscenza mi lodasse per la mia forza d’animo e accrescesse la sua stima per me, tuttavia tollerarlo fu una fatica improba. Intendiamoci, mica per crudeltà della donna che amavo, ma per il troppo fuoco appiccato nella mente da una voglia scatenata che, non contentandosi mai di stare al di qua dei limiti imposti dalle convenienze, mi faceva fare indigestione di dolore. In quello stato di abbattimento esaltato, qualche amico mi procurò non poco sollievo con i suoi discorsi caritatevoli per sdrammatizzare e consolarmi, tanto che sono fermamente convinto di non essere morto proprio grazie a una classica pacca sulla spalla. Ma siccome Egli, essendo infinito, ha ritenuto opportuno sottoporre le cose terrene alla legge immutabile che decreta una fine per tutto, anche il mio amore, intrepido quanto altri mai, che né forza di volontà né buon senso – né l’evidente vergogna, visto il pericolo a cui avrebbe potuto espormi – aveva potuto rompere o piegare, questo mio immenso amore è venuto meno, da solo, per mero susseguirsi dei giorni e delle notti. Però, al presente, mi ha lasciato quel piacere che di solito è pronto a offrire a coloro che non s’imbarcano nelle acque più cupe senza tenere un occhio al timone e, mentre prima era un vero tormento, portatosi via ogni affanno, è rimasto in me con la sua aura più carezzevole.