Si sparse tanto la fama della santa vita e della santa morte di Ciappelletto, che
cominciò ad accorrer gente al convento anche da lontano. Chi gli baciava le mani,
chi i piedi, chi gli strappava i panni di dosso per farne reliquie.
165 Il giorno appresso Ciappelletto fu seppellito solennemente in un’arca25 di
marmo, alla quale convennero in gran folla i devoti da tutta la Borgogna ad
accendergli dei lumi, ad adorarlo e a impetrarne l’intercessione, spesso con buoni
risultati, tanto che gli vennero attribuiti vari miracoli e fu tenuto per santo. Tale
infatti è la misericordia di Dio, che non solo può redimere all’ultimo momento
170 un delinquente di tal fatta, ma arriva al punto di esaudire chi lo prega anche nel
nome di un Ciappelletto, perché chi si rivolge a Lui in buona fede è sempre ascoltato,
anche se per umano errore si fa raccomandare da un diavolo invece che da
un santo.

25 arca: tomba monumentale.

Dentro il TESTO

I temi

Un notaio poco raccomandabile
Il notaio Ciappelletto, uomo perverso e privo di scrupoli, viene incaricato da un ricco mercante fiorentino di recarsi in Borgogna a riscuotere, per suo conto, alcuni crediti. Egli accetta l’incarico, ma un giorno si ammala. È ospitato da due usurai fiorentini, i quali si trovano in imbarazzo circa la soluzione da adottare: se lo manderanno via, potranno essere tacciati di crudeltà per avere cacciato un uomo in fin di vita; se morirà in casa loro, senza essersi confessato o, essendosi confessato, senza aver ricevuto l’assoluzione (tanti e tali sono i peccati di Ciappelletto che nessun sacerdote vorrà credere al suo pentimento), saranno accusati di empietà per avere ospitato un uomo così malvagio. Ciappelletto decide di aiutarli e li invita a chiamare un confessore: ci penserà lui a ingannarlo, facendosi passare per un uomo virtuoso. Così avviene: Ciappelletto, con una falsa confessione, si fa credere addirittura un santo.

Solidarietà di classe, gusto della beffa o piacere del male?
Perché Ciappelletto è disposto a tanto? Soltanto per aiutare i suoi ospiti? Questa potrebbe essere una prima spiegazione: la solidarietà di classe; sia Ciappelletto, che è notaio, sia i suoi ospiti, di professione usurai, appartengono a quella borghesia degli affari unita al suo interno da una certa complicità. Ma davvero, in virtù di questo senso di appartenenza, si può essere pronti a dannare per l’eternità la propria anima?
Forse in Ciappelletto prevale altro: il gusto della beffa, una beffa che ha in sé stessa la propria ragion d’essere. Del resto il tema della beffa è ricorrente nel Decameron, che dedica a esso due intere giornate, la Settima e l’Ottava.
Tuttavia ci potrebbe essere anche una terza spiegazione: Ciappelletto decide di ingannare il frate per il piacere che gli deriverà da un’ultima azione peccaminosa prima di morire, coerentemente con il modo in cui egli è vissuto durante tutta la sua esistenza. Infatti dal ritratto di Ciappelletto emerge la volontà, anzi proprio la soddisfazione che il personaggio prova nel compiere il male (rr. 16-24).
Si tratta evidentemente di una sorta di rovesciamento del motivo francescano della “perfetta letizia” che deriva dal compiere il bene. Qui, invece, tutta la gioia sta nel fare il male. In vita come in punto di morte.