CONSONANZE CONTEMPORANEE

Anna Maria Ortese ed Elena Ferrante

NAPOLI, DALLO SGUARDO ALLA PENNA DELLE DONNE

Bellissima e pericolosa, labirintica e infida, affascinante e misteriosa: forse più ancora di Andreuccio, che si immerge nel suo ventre, è Napoli la vera protagonista della novella di Boccaccio. Sulla città partenopea hanno posato lo sguardo decine di scrittori e scrittrici, ciascuno mettendone in evidenza aspetti particolari, indulgendo o meno a una certa, tradizionale immagine pittoresca o folcloristica.
Qui presentiamo la testimonianza di due voci femminili: la prima, Anna Maria Ortese (1914-1998), nell’incipit di un racconto scritto nel 1950, Un personaggio singolare, si sofferma sugli aspetti contraddittori di una città fuori dal comune; la seconda, Elena Ferrante (pseudonimo di un’autrice la cui identità resta ignota), ambienta nel romanzo L’amica geniale le vicende di due bambine, Elena (Lenù) e Raffaella (Lila), in un quartiere popolare, il rione Luzzatti, negli anni del dopoguerra.

Fotografia in bianco e nero che ritrae Via San Gregorio Armeno, una delle strade più caratteristiche di Napoli, nel dopoguerra. La scena mostra la strada affollata di persone che camminano, avvolte in abiti pesanti, mentre sopra di loro sventolano panni stesi ad asciugare, appesi tra gli edifici. Le facciate degli edifici, ravvicinate e semplici, e l'atmosfera vivace trasmettono il carattere autentico e popolare del quartiere in quel periodo storico.
Via San Gregorio Armeno, una delle strade più caratteristiche della città, in una foto del dopoguerra.

Anna Maria Ortese

Ho abitato a lungo in una città veramente eccezionale. Qui, per non so quale bizzarria della natura, rovesciamento delle sue leggi, che del resto nessuno sospettava, tutte le cose, il bene e il male, la salute e lo spasimo, la felicità più cantante e il dolore più lacerato, santità e dissolutezza, pietà e voluttuosa ferocia, troni e galere, mercati ed altari, patiboli e giostre, i canti di gioia degli eletti e il singhiozzo lamentevole del dannato, tutte queste voci erano così saldamente strette, confuse, amalgamate tra loro, che il forestiero che giungeva in questa città ne aveva, a tutta prima, un’impressione stranissima, come di un’orchestra i cui strumenti, composti di anime umane, non obbedissero più alla bacchetta intelligente del Maestro, ma si esprimessero ciascuno per proprio conto suscitando effetti di una meravigliosa confusione, d’una incomparabile triste gaiezza; e solo in un secondo momento avvertiva l’orrore, conseguenza di un distrutto pensiero, ch’era all’origine di un così uniforme incanto.

(Anna Maria Ortese, Un personaggio singolare, in L’Infanta sepolta, Adelphi, Milano 2000)

Anna Maria Ortese