Alla sua morte, il disaccordo diventa più acuto. Molti frati, pur restando personalmente poveri, vogliono accettare le donazioni di case, denaro e terre che parecchi devoti lasciano in eredità all’ordine. Inoltre non intendono più limitarsi al lavoro manuale. La loro occupazione è studiare e predicare: per questo – sostengono – è giusto permettere che i fedeli mantengano i frati con le loro elemosine. Anche i Francescani diventano infine un ordine mendicante, cioè di frati predicatori, come quello fondato da Domenico.
Circa trent’anni dopo la morte del santo, i Francescani si dividono fra i conventuali, che interpretano in maniera più morbida il modo di vivere del fondatore, e gli spirituali, che preferiscono seguire gli insegnamenti di Francesco in maniera più rigida.
I Francescani hanno un secondo ordine, di monache di clausura, le Clarisse (la loro grande santa è Chiara d’Assisi), e un terzo ordine, di laici e laiche (i cosiddetti terziari francescani). Nel Cinquecento alcuni Francescani che vogliono seguire ancora più strettamente l’esempio di Francesco danno vita a un nuovo ramo dell’albero francescano, tuttora presente: i frati cappuccini.
LE OPERE
Di Francesco restano alcuni scritti in latino: la Prima regola, la Seconda regola, il Testamento e 28 Admonitiones (Ammonizioni, cioè insegnamenti e consigli ai fratelli). Tuttavia il suo testo più importante dal punto di vista letterario è una poesia in volgare umbro: il Cantico delle creature o Cantico di frate Sole (ma il titolo tramandato dai manoscritti è in latino, Laudes creaturarum, cioè Lodi delle creature). Secondo la tradizione, Francesco l’avrebbe composto due anni prima di morire, per aggiungervi però gli ultimi versi (dal v. 23 in avanti) in prossimità della morte.
L'opera più importante di Francesco d'Assisi è il Cantico delle creature, una poesia in volgare umbro.
Un segno divino
Secondo quanto è raccontato nella Legenda maior, la biografia di Francesco scritta da Bonaventura da Bagnoregio, mentre Francesco era in preghiera sul monte della Verna, vide Cristo con l’aspetto di un serafino in croce e da lui ricevette nelle mani, nei piedi e nel costato le cicatrici della crocifissione. Alla fine del Duecento Giotto fu uno dei primi pittori a tradurre in immagini il testo del biografo. In questo dipinto, conservato al Louvre, i raggi di luce dalle ferite dell’angelo-Cristo raggiungono il corpo di Francesco. Quest’iconografia conobbe un’eccezionale diffusione e in parte trasformò la figura del frate di Assisi: non più un povero dal messaggio spirituale radicale, ma una sorta di doppio di Cristo, con le sue stesse ferite e cicatrici
