Torquato TASSO – I GRANDI TEMI 1 Il difficile rapporto con la corte Ariosto e Tasso: due modi diversi di vivere a corte A distanza di poco più di due decenni, Ariosto e Tasso vivono nella stessa corte, quella ferrarese degli Estensi. Il primo, addirittura, vi si trasferisce bambino e, divenuto poeta, vi si adatta, con discrezione e realismo, tollerando contraddizioni e ipocrisie e mitigando (come nelle , vedi T2, p. 625) la protesta e la disapprovazione. Senza mai rinunciare alla sua dignità – al pari dei contemporanei Machiavelli e Guicciardini, costretti anch’essi a dolorose sconfitte personali – , per quanto spregevole possa essere, senza mai lasciarsene sopraffare, osservando con equilibrio e le miserie dell’esistenza. , invece, a corte arriva da lontano, desideroso di gloria e blandito come un ospite eccezionale. E vi arriva con la convinzione di trovare un pubblico aristocratico, fatto di spiriti eletti, che possa apprezzare e capire fino in fondo la sua arte. In altre parole, , insidiato dal conformismo e dalla presenza occhiuta del tribunale dell’Inquisizione. Satire Ariosto fronteggia la realtà con coscienza critica Tasso idealizza un ambiente che invece si rivela un luogo di invidie e maldicenze Ariosto vive nella corte di Ferrara fin da piccolo: ne conosce pregi e difetti e sa adattarsi. Tasso, invece, arriva da lontano, con , destinate a rimanere deluse. grandi aspettative Il conflitto tra ideale e reale La corte quale regno di bellezza, di genuina naturalezza e di splendore dell’arte esiste ormai solo nella fantasia di Tasso, che vi proietta tutta la propria sognante : i cortigiani sono per lui gloriosi cavalieri armati in difesa della fede, le principesse eleganti fanciulle a cui promettere amore e dedizione, il principe un magnanimo eroe pronto a guidare una nuova crociata e, al tempo stesso, disposto a sostenere con munifica generosità l’attività letteraria. La realtà si manifesta invece agli occhi del poeta molto diversa, e diversi i suoi protagonisti: tutt’altro che anime gentili impegnate in nobili imprese; piuttosto, piccoli uomini alle prese con litigi e miserie quotidiane. Certo, sopravvivono ancora l’abbagliante e le : feste, spettacoli, concerti. Ma tali cerimonie – in cui Tasso vede rispecchiata la più profonda anima rinascimentale – «costituivano l’ultimo lusso d’un mondo al tramonto, mentre dietro l’aurea facciata la diffidenza e il sospetto, l’invidia e la gelosia, ma soprattutto l’abile dissimulazione e il gioco diplomatico, avevano corrotto l’ambiente cortigiano creando una atmosfera ambigua in cui serpeggiavano, contrastando tra di loro, residui fuochi dell’originaria sensualità, ricca e animosa, e tortuose preoccupazioni e meschine ipocrisie» (Caretti). immaginazione vitalità esteriore apparenze lussuose La fantasia di Tasso proietta sulla i propri , che però alla realtà. Dietro l’apparenza dominano i cattivi sentimenti. corte ideali non corrispondono Il valore assoluto della letteratura A questa degenerazione Tasso non sa rispondere con disincanto: reagisce con crescente instabilità, con un tormento inappagato, con un che lo porta a sentirsi uno , un disadattato. Serenità, ironia e dominio delle passioni sono per lui impossibili: la coscienza dello scarto tra sé e il modello del cortigiano (incarnato, tra l’altro, dalla figura del padre Bernardo) accentua la frustrante percezione di essere un ospite indesiderato, vittima di un mondo che non lo comprende. senso di disagio sradicato Tasso reagisce male alle contraddizioni dell’ambiente cortigiano, che lo fanno sentire a . Cerca di riscattarsi con il lavoro letterario. disagio