La lingua Nel periodo risorgimentale torna ad affacciarsi il problema di una lingua comune, non pi soltanto come oggetto di riflessione teorica da parte di letterati e intellettuali, ma anche come esigenza concreta di una nazione che sta creando le proprie basi e ha bisogno di condividere un codice linguistico comprensibile ai pi . Sulla questione della lingua i puristi sostengono il toscano trecentesco. Altri Classicisti, come Monti e Giordani, sono pi aperti a una contaminazione della lingua letteraria. La posizione dei Classicisti In ordine di tempo, la prima posizione nel dibattito ottocentesco quella che si rif alla Dissertazione sopra lo stato presente della lingua italiana (1810) dell abate vicentino Antonio Cesari (1760-1828), capofila del purismo . Secondo le idee di Cesari e dei Classicisti che si collocano sulla sua linea di pensiero, la lingua da prendere a modello un toscano trecentesco fortemente idealizzato («il Toscano nacque per cos dire bello e formato, soave, regolato, gentile; con modi di dire leggiadri, vivaci, espressivi», scrive l autore), considerato l unico codice condivisibile in tutta la penisola. Si tratta di una lingua letteraria, rappresentata dagli «Scrittori, che la rendettero chiara e illustre». intellettuale DALLE CORTI ALLE CASE EDITRICI & societ Il tramonto del letterato cortigiano L ultima incarnazione della figura del poeta-cortigiano era stato Vincenzo Monti, a cavallo tra Settecento e Ottocento. Deprecando la sua disponibilit a servire potenti diversi, secondo le circostanze e il tornaconto personale, lo studioso Francesco De Sanctis gli attribuir il poco gratificante titolo di «segretario dell opinione dominante». Tanta acrimonia verso una condizione di sussiegosa subalternit si spiega forse con l evoluzione del ruolo dell intellettuale, maturata nell Ottocento in conseguenza delle trasformazioni politiche e sociali verificatesi in Italia. Da patriota e da romantico propenso ad assegnare una funzione civile all arte, De Sanctis vedr nell atteggiamento di Monti una concezione della letteratura e dell artista ormai superata. La nuova fisionomia dell intellettuale In effetti, l immagine del letterato integrato nelle tradizionali istituzioni culturali la corte e l accademia pu dirsi, nel primo Ottocento, tramontata. Ci non significa che il potere politico rinunci a orientare e a condizionare la produzione artistica; tuttavia, nuovi referenti entrano in rapporto con il lavoro intellettuale: non pi soltanto sovrani, mecenati o ecclesiastici, ma la comunit sempre pi ampia del pubblico borghese. 530 IL PRIMO OTTOCENTO Anche l estrazione sociale dell intellettuale muta sensibilmente: sebbene la pratica della scrittura e l educazione culturale siano diffuse prevalentemente in ambiente nobiliare, anche nella penisola comincia ad affermarsi la figura del letterato borghese che non vive pi di rendita, ma deve assicurarsi un reddito con il proprio lavoro. Lo sviluppo dell editoria Le maggiori possibilit di sostentamento derivano da un primo, parziale allargamento del mercato editoriale, che, per quanto ancora modesto a causa dell elevato analfabetismo, vede tuttavia una certa crescita del pubblico dei lettori. Gli editori, un tempo semplici stampatori, si trasformano in veri e propri imprenditori all interno di un mercato pi concorrenziale, che accoglie prodotti differenziati, ora rivolti anche alla piccola e media borghesia. Aumenta il numero delle collane di classici in edizione economica, sono incentivate le antologie e le traduzioni; sulla scia dei successi del feuilleton francese, vengono pubblicati i primi romanzi d appendice, il genere popolare per eccellenza, che regala al pubblico emozioni e avventure. Si assiste inoltre, come abbiamo visto, alla fioritura dei periodici, che acquistano una funzione rilevante nella promozione culturale e nel dibattito politico.