Giuseppe Gioachino Belli LA VITA Giuseppe Gioachino Belli nasce nel 1791 a Roma, allora ca­ pitale dello Stato pontificio. Orfano a sedici anni di entrambi i genitori, dopo aver abbandonato gli studi entra nell ammi­ nistrazione papalina. Raggiunge la tranquillit economica nel 1816, quando sposa una ricca vedova di tredici anni pi an­ ziana di lui: pu cos dedicarsi con agio agli studi e alla poesia, che coltiva da tempo, come membro dell Accademia Tiberi­ na, sorta nel 1813 per favorire lo studio delle scienze e delle lettere latine e italiane. Nel 1824 nasce il suo unico figlio, Ciro: questo il perio­ do pi felice della vita di Belli, che viaggia molto, entrando in Ritratto di Giuseppe contatto con gli ambienti culturali fiorentini, milanesi, napole­ Gioachino Belli, XIX secolo. Roma, Museo del Folklore tani. Negli anni Trenta si dedica con impegno alla poesia in ro­ e dei Poeti Romaneschi. manesco, ma la morte della moglie, avvenuta nel 1837, rende di nuovo precaria la sua situazione economica, costringendolo a riprendere il mestiere di impiegato. Nel 1849 assiste con sgomento all esperienza della Repubblica romana: i suoi orientamenti politici, sempre pi reazionari, lo condurranno in seguito a esercitare con severa rigidit il ruolo di censore teatrale. Muore a Roma nel 1863. LE OPERE Belli scrive molti sonetti in romanesco, con l intento di rappresentare, come in un monumento, il ceto popolare. L ordine dei sonetti cronologico. Un «monumento della plebe» romana Belli autore in giovent di numerose opere in lingua italiana, di taglio arcadico e classicista, e in vecchiaia di testi rigidamente devoti. Tuttavia il meglio della sua produzione da cercarsi fra i circa 2300 sonetti in romanesco. Quasi tutti appartengono a due periodi circoscritti: 1830­1838 e 1843­1847; nella fase di maggiore impegno, fra il 1831 e il 1835, Belli arrivava a scrivere vari sonetti in un giorno, componendo persino durante i tragitti in carrozza. Il poeta spiega gli intenti che lo guidano in una Introduzione composta nel 1831 e pi volte rivista, in cui afferma di aver voluto «lasciare un monumento di quello che oggi la plebe di Roma», originale quanto alla «sua lingua, i suoi concetti, l indole, il costume, gli usi, le pratiche, i lumi, la credenza, i pregiudizi, le superstizioni, tutto ci insomma che la riguarda». Un monumento della plebe, dunque, e non alla plebe. Gli intenti celebra­ tivi mancano del tutto, come lascia comprendere un altro passo: «Non casta, non pia tal­ volta, sebbene devota e superstiziosa, apparir la materia e la forma: ma il popolo que­ sto; e questo io ricopio, non per proporre un modello ma s per dare una immagine fedele di cosa gi esistente e, pi , abbandonata senza miglioramento». Prima di morire Belli d disposizioni affinch i manoscritti dei sonetti romaneschi siano bruciati, a dispetto della cura con cui li aveva composti. Fortunatamente invece le poesie sopravvivono e vengono pubblicate postume in edizioni ufficiali purgate dalla censura o in stampe clandestine comprendenti anche i componimenti pi irriverenti. Edizioni affi­ dabili compariranno solo a partire dalla met del Novecento. Un opera senza gerarchia I sonetti si susseguono semplicemente in ordine cronologico di composizione, senza alcuna partizione tematica. Ogni testo reca sul manoscritto un ti­ tolo e la data in calce. La lettura pu cominciare a piacere, secondo l autore, perch «ogni LA CORRENTE LA POESIA ROMANTICA IN ITALIA 683